“La Pastorale della salute nelle periferie esistenziali”, questa la tematica che si è affrontata nello specifico Convegno CEI ad Abano Terme (9-13 giugno), per mettere a fuoco – nel confronto con gli operatori pastorali – l’impegno da assumere “nelle crescenti disuguaglianze” della nostra società, per passare ad “una comunità che accoglie, che educa, che cura” (come recitava il sottotitolo). E don Carmine Arice, direzione nazionale CEI per la Pastorale della salute, ha subito ricordato come l’appello di Papa Francesco per farsi carico delle “periferie” impone attenzioni nuove e coraggiose. Le “periferie” sono luoghi geografici, ma soprattutto luoghi esistenziali; sono le periferie delle metropoli ma sono anche i centri storici delle città dove la faticosa solitudine talvolta è immersa nel caos disinteressato di gente che corre scansando e talvolta scavalcando feriti della storia sia nel corpo che nello spirito. Le periferie esistenziali non sono luoghi astratti e lontani ma sono persone concrete in carne ed ossa. Sono situazioni che sfidano la solidarietà umana, la giustizia sociale e, non ultima, la carità cristiana. Cresce per esempio il bisogno di assistenza domiciliare, aumenta la domanda di assistenza degli anziani, con la necessità di cure sanitarie onerose, crescono le malattie neurodegenerative e quelle della mente. L’Organizzazione Mondiale della Sanità, riferendosi alla sofferenza psichiatrica, parla di situazione di emergenza, facendo notare come stia salendo nella graduatoria ai primi posti fra le cause di morte. Sono in aumento, e anche in questo caso si parla ormai di emergenza, i giovani feriti dalle ludopatie e da nuove dipendenze. E la presa in carico di questi fratelli si rivela quanto mai difficile. Tutto questo non può che essere causa di ulteriore disagio per una istituzione tanto fondamentale, quanto già sofferente quale è la famiglia. Oggi la missione della Pastorale della salute, il cui soggetto fondamentale è la comunità cristiana, si deve esprimere nell’offrire percorsi di cura integrale della persona che ne realizzi tutto il bene concretamente possibile sia nel corpo che nello spirito, nel suo contesto esistenziale e relazionale. “Siamo una società aperta e attraversiamo un periodo di transizione demografica epidemiologica, con molte fragilità”, ha ammesso il presidente dell’Istituto superiore di Sanità, prof. Fabrizio Oleari. La sua relazione ha messo in evidenza una situazione epidemiologica ancora più esplosiva di quella provocata dagli sbarchi dei profughi. Siamo malati più dei migranti, com’è logico per una popolazione di vecchi e bambini concepiti in tarda età. La strategia migliore per affrontare quest’emergenza è saldare cura medica e cura dell’anima. “Anche sul piano medico il malato va trattato dentro il suo contesto – ha spiegato il prof. Oleari –: quando viene diagnosticato un tumore, si innescano delle conseguenze. Arriva la depressione. Tutta la famiglia è coinvolta. E il problema diventa quello di sostenere queste persone molto prima che si arrivi alla fase terminale”. Una preoccupazione supportata dai numeri. Nel nostro Paese, su tre milioni e mezzo di persone con problemi di autosufficienza, solo trecentomila sono direttamente seguite dal Servizio sanitario nazionale, mentre tutte le altre sono assistite dalle famiglie.
Il vescovo di Asti mons. Ravinale, parlando di una “Chiesa povera per i poveri” e della necessità di “far capire al malato che ha una missione nella Chiesa, che la sua preghiera è per tutti”, ha insistito su “il desiderio e il dovere di lottare contro ogni forma di stigma verso la malattia psichiatrica, chiedendo impegno per superare ogni forma di discriminazione”. Inoltre ci ha ricordato che “la vicinanza a chi soffre è una scelta prioritaria di Gesù buon pastore, e che nessun pastore dovrebbe sentirsi legittimato a dimenticare i malati e i poveri, nonostante il carico di lavoro e la pluralità delle incombenze; poveri e malati hanno molto da insegnarci ed è necessario che tutti ci lasciamo evangelizzare da loro”.
Lucia Miglionico, dirigente di oncologia pediatrica, della Casa del “Sollievo della Sofferenza”, ha confermato che “quando si ammala un membro della famiglia si ammala tutta la famiglia, in quanto la malattia rompe tutti gli schemi spazio-temporali”. “Quindi la Pastorale della salute non deve dimenticare la famiglia: un bambino ammalato di cancro può sorridere per un gioco nuovo, una mamma cui hai detto che è finita ha il cuore strappato…”.
Diminuisce la percezione dello stato di salute, non ci si cura più, soprattutto tra gli anziani e anche quando il 35% dichiara di stare male. Infine una previsione inquietante: “Se non lavoreremo sodo sul contesto e sui fattori che determinano la salute delle persone, nel 2050 avremo un indice di dipendenza spaventoso: stiamo infatti tendendo al rapporto uno a uno tra sani e malati, che sarà insostenibile per il Sistema sanitario”.