Una volta c’erano le Langhe, in bella vista, su un belvedere naturale affacciato verso le colline più gentili della regione. C’era la primavera, una dimensione sussurrata, quasi frugale, persone che invadevano una località di campagna, più che di provincia; il contesto in cui ci si muoveva era semplice, si badava alla sostanza di ciò che si voleva e di quel che si stava cercando di dire. In questa semplicità si finiva con il ritrovare una profonda intimità con i “personaggi” ospiti: era un po’ come stare nel cortile di casa o nell’aia dei nonni, una volta, la domenica pomeriggio, a fare quattro chiacchiere con quel parente che non si vedeva da tempo.
Negli anni, il numero di persone è cresciuto. Da passeggio anche intasato nelle strade di Novello a lungo serpentone di persone che via via progrediva, si faceva fiumana impetuosa, sino a sfociare in un’autentica marea di gente nel 2013 in piazza Colbert (nel frattempo ci si è spostati a Barolo) per il concerto della Nannini. Quella che era un’appendice all’evento (in cui si parlava prevalentemente di letteratura) è diventata un motore trainante, e nel giro di pochi anni il Collisioni Festival si è trasformato in quello che è. Gli artisti di fama nazionale e internazionale (riducendo talvolta il loro caché) si mettono in fila per scoprire cosa succede in un piccolo Comune, noto per il vino prodotto, e che per un week-end all’anno in estate diventa un’enorme fiera della cultura. Collisioni è una manifestazione capace di mettere insieme pubblici eterogenei tra loro (e quindi) di innegabile e ineguagliabile successo in termini di pubblico; diversa magari può essere la riflessione circa il riferimento e le ricadute, in termini culturali, che una manifestazione di tale portata possa avere. Più che di “raccolto” (la manifestazione si sviluppa su un fil rouge e se, con Bob Dylan, c’era “the Wind”, quest’anno il tema sarà Harvest, leggasi come “vendemmia” o “mietitura”, in onore di Neil Young ospite lunedì 21 luglio) si potrebbe dire che la semina continua, di anno in anno, su un territorio sempre più ampio che ha ben presto valicato i propri confini naturali e che si protende verso l’esterno, senza più dare spazio a quel sotto bosco che da anni rende lo stesso territorio vivo (sul palco della piazza gialla Eugenio in via di Gioia, il trio Calvo/Volpe/Roncea e Mano, oltre ai giovanissimi Elith e Absolut Red; mentre in piazza verde gli aostani L’Orage, La Banda Elastica Pellizza ed il gipsy jazz de the Hot Pots). Nell’edizione che comincerà venerdì con il live dei Deep Purple, che dà spazio alle nuove tendenze rap di Salmo, alle voci di Elisa e di Suzanne Vega, che lascia i fuochi d’artificio domenicali a Caparezza (un ritorno), che apre a band “minori” da tutta Italia e che chiuderà i battenti con Young, la strada sembra essere tracciata: nel nome ed a favore di una visibilità conquistata, e che va tuttavia mantenuta, si può anche fare a meno di quella spinta propulsiva che ha permesso negli anni lo sviluppo del raccolto, in attesa del prossimo “harvest”.