«La Giornata del Ringraziamento 2014 precede di alcuni mesi l’apertura di Expo Milano 2015 dedicato a “Nutrire il pianeta. Energia per la vita” – dicono i vescovi italiani nel loro messaggio - , di particolare rilevanza per il nostro Paese e non solo. Esso invita a dedicare un’attenzione speciale al tema del cibo, quale dono di Dio per la vita della famiglia umana. Così, nel ringraziare il Padre per i frutti della terra, ci rendiamo consapevoli di coloro che patiscono la fame. Papa Francesco richiama spesso “la tragica condizione nella quale vivono ancora milioni di affamati e malnutriti, tra i quali moltissimi bambini”. La fame è minaccia per molti dei poveri della terra, ma anche tremendo interrogativo per l’indifferenza delle nazioni più ricche. Infatti, alla sottonutrizione di alcuni, si affianca un dannoso eccesso di consumo di cibo da parte di altri. È uno scandalo che contraddice drammaticamente quella destinazione universale dei beni della terra richiamata – quasi cinquanta anni or sono – dal Concilio Vaticano. È una questione di giustizia, che pone gravi interrogativi in merito al nostro rapporto con la terra e con il cibo. In questa Giornata del Ringraziamento guardiamo dunque all’agricoltura, che – attraverso i suoi frutti – è fonte della vita».
«Potremmo muovere da un’immagine biblica molto bella e dolce: quella della felicità dell’uomo che coltiva la terra, per poi mangiarne i frutti nella pace, benedicendo il Creatore per i suoi doni. Già il racconto della creazione disegna, in effetti, quest’alleanza dell’uomo con la terra. Adam è chiamato a coltivarla e a custodirla. Il testo ebraico rimanda ad una sorta di servizio verso la terra, tramite la dignità del lavoro, che si fa subito anche custodia, affinché essa a sua volta serva l’uomo, donandogli il cibo per la vita. Ma il peccato spezza tale alleanza, associando il lavoro della terra al peso di una fatica che appare insostenibile. Il sogno del Dio creatore resta invece quello di una sorta di reciprocità: ad un lavoro umano rispettoso della terra che si fa giardino, essa corrisponde con la generosa e vivificante produzione di frutti. Il sistema agricolo contemporaneo appare però spesso distante da tale immagine: la sua complessità esige considerazioni ben più articolate. Infatti, nelle zone agricole di grande vastità, l’attività tende spesso a coinvolgere sempre più reti di imprese e comporta l’uso di tecniche anche complesse (si parla di “agricoltura industriale”). La finanza poi, purtroppo, si comporta con il cibo come una pura merce, su cui scommettere per trarne profitto, a prescindere dal destino di chi di esso vive. E sulla terra si specula! La sua stessa disponibilità è a rischio: spesso essa è destinata ad altri scopi o diviene oggetto di una lotta commerciale tra le economie più forti. E non mancano le pressioni crescenti sul piano della legalità: la salubrità dei prodotti è minacciata da abusi e forme di inquinamento che talvolta neppure percepiamo. Una situazione complessa, dunque, che mette a rischio la capacità dell’agricoltura di garantire sicurezza alimentare, per avere un cibo che possa nutrire gli abitanti del pianeta e che sia affidabile per chi lo consuma. Come uscire da tale situazione? Come far sì che anche nella complessità contemporanea trovi espressione la realtà costitutiva di un’agricoltura che sia collaborazione all’azione del Dio provvidente, datore di vita?”».
«Forse il primo dato da tenere presente è che anche il nostro rapporto con la terra è un fatto culturale; come ogni realtà sociale, esso disegna modelli di organizzazione della società in cui anche la dimensione tecnica esprime valori e dà forma alla stessa relazione tra le persone. Si tratta, dunque, di educarci a pensare l’agricoltura come spazio in cui la giusta ricerca della remunerazione del lavoro si intrecci con la solidarietà, l’attenzione per i poveri, la lotta contro lo spreco, con un’attiva custodia della terra. Si tratta però anche di operare per dar forma ad un sistema agricolo che dia corpo a tali istanze, sviluppando e promuovendo un modello di produzione rurale che sia attento alla qualità e alla salvaguardia dei terreni, in modo da garantire effettiva sostenibilità. La terra, in altre parole, va custodita come un vero e proprio bene comune della famiglia umana, dato per la vita di tutti. Essa deve mantenere come primaria la sua destinazione fondamentale – quella di essere, appunto, fonte di cibo per i suoi abitanti, facendo in modo che il rispetto e la ricerca della qualità dei beni salvaguardi la capacità della terra stessa di produrre per la generazione presente e per quelle future. Occorre presidiare il territorio contro il degrado e la cementificazione, che lo rendono inospitale per la vita e sottraggono aree alla produzione di cibo. Occorrerebbe pure evitare l’installazione di pannelli solari sul terreno, collocandoli piuttosto sugli edifici. L’agricoltura poi non è solo produzione finalizzata a nutrire la famiglia umana, ma anche custodia del territorio, che lo cura e lo riqualifica. Quando esso è privato della presenza del lavoro agricolo, è anche meno curato, più esposto a fenomeni di erosione, tanto più in un tempo di mutamento climatico, segnato da eventi meteorologici di vasta portata, che richiedono – insieme ad un’adeguata impostazione etica e ad un necessario cambio culturale – “un grande impegno politico-economico da parte della comunità internazionale”, attuando “una risposta collettiva basata su quella cultura della solidarietà, dell’incontro e del dialogo, che dovrebbe essere alla base delle normali interazioni all’interno di ogni famiglia e che richiede la piena, responsabile e impegnata collaborazione da parte di tutti, secondo le proprie possibilità e circostanze”».