E’ alle vista l’appuntamento ecumenico della “Settimana di preghiera per l’unità dei cristiani” (18-25 gennaio), che quest’anno è incentrato sul versetto del Vangelo di Giovanni “Dammi un po’ d’acqua da bere” (4, 7), raccogliendo dalle labbra di Gesù una richiesta semplice, immediata, normale… che è condivisa da tutta l’umanità, nel segno del bisogno di dissetarsi. Una richiesta alla donna samaritana, che rompe i rigidi schemi religiosi e discriminanti in terra di Palestina 2000 anni fa. Gesù è il Figlio di Dio rivestito di umanità in tutte le sue dimensioni di limite, di precarietà e di fatica, ma è anche colui che parla di una acqua viva che viene dal Padre, che sgorga per la vita eterna. “L’incontro fra Gesù e la Samaritana – spiega il sussidio predisposto dal Gruppo ecumenico di diverse Confessioni cristiane riunitosi a San Paolo in Brasile, in un rione molto povero della metropoli sudamericana – ci invita ad assaporare l’acqua da diversi pozzi e anche a offrirne un poco della nostra. Nella diversità, infatti, tutti ci arricchiamo vicendevolmente. La Settimana per l’unità dei cristiani è un momento privilegiato di preghiera, di incontro e di dialogo. È l’occasione per riconoscere la ricchezza e il valore presenti negli altri, in chi è diverso da noi, e per chiedere a Dio il dono dell’unità. Un proverbio brasiliano recita così: “Chiunque beve di quest’acqua, ritorna” ed è usato quando un visitatore si congeda. Un refrigerante bicchiere d’acqua è segno di accoglienza, dialogo e coesistenza. Il gesto biblico di offrire acqua a chiunque arrivi (cfr. Mt 10, 42) è un modo di dare il benvenuto e di condividere, ed è una usanza diffusa in tutte le regioni del Brasile”.
“Il testo del Vangelo di Giovanni sull’incontro di Gesù con la samaritana – continua il sussidio ecumenico – presenta l’importanza per ciascuno di noi di conoscere e comprendere la propria identità, cosicché l’identità dell’altro non sia vista come una minaccia. Se non ci sentiremo minacciati, saremo in grado di sperimentare la complementarità dell’altro. Nessuna persona, nessuna cultura da sola sono sufficienti! Pertanto, l’immagine che appare dalle parole ‘Dammi un po’ d’acqua da bere’ è un’immagine che parla di complementarità: bere l’acqua dal pozzo di qualcun altro è il primo passo per sperimentarne il modo di essere e giungere ad uno scambio di doni che arricchisce. Laddove i doni degli altri vengono rifiutati, viene causato molto danno alla società e alla Chiesa. Gesù è il forestiero che arriva stanco e assetato. Ha bisogno di aiuto e chiede dell’acqua. La donna si trova nella sua terra; il pozzo appartiene alla sua gente, alla sua tradizione. È lei che tiene il secchio e ha accesso all’acqua. Ma anche lei è assetata. I due si incontrano e quell’incontro offre un’opportunità inattesa per entrambi. Gesù non cessa di essere ebreo perché ha bevuto dall’acqua offerta dalla samaritana, e lei rimane ciò che è mentre abbraccia la via di Gesù. Quando riconosciamo che tutti abbiamo delle necessità, la complementarità prende corpo nella nostra vita in un modo più ricco. ‘Dammi un po’ d’acqua da bere’ presuppone che sia Gesù sia la Samaritana chiedano ciò di cui hanno bisogno l’uno dall’altra. ‘Dammi un po’ d’acqua da bere’ ci insegna a riconoscere che le persone, le comunità, le culture, le religioni e le etnie hanno bisogno le une delle altre e ci insegna a ricevere ciò che è prezioso per il bene dell’umanità e della sua salvezza. ‘Dammi un po’ d’acqua da bere’ implica un impegno etico che riconosca il bisogno gli uni degli altri per realizzare la missione della Chiesa. Ci spinge a cambiare il nostro atteggiamento, ad impegnarci nel cercare l’unità nella nostra diversità, aprendoci ad una varietà di forme di preghiera e di spiritualità cristiana”.