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Nuove forme di fuga al Cantautorato Inesistente

Colapesce, Giardini e Paletti

Marco Volpe

Il cantautorato ha sempre rappresentato nell’immaginario collettivo la voce del popolo; sulla falsa riga di una tradizione quasi millenaria, troubadours moderni hanno cantato la loro vita e raccontato quella della società, con vissuti diversi le une dalle altre. Queste differenti realtà vengono comprese sotto un unico ombrello, anche quando per sensibilità artistiche e esperienze umane arrivano da domini differenti. Il genere nel suo senso più stretto ha perso appeal, a favore di altre forme di espressione, di cui oggi il rap può essere ultimo baluardo e nuova frontiera, guadagnando però in creatività espressiva obbligato a una neo-genesi di stili e forme. Da Le Luci della Centrale Elettrica in poi un’intera generazione che non si appiattisce a un’offerta preconfezionata è riemersa dall’anonimato, senza però guadagnarsi l’attenzione di un pubblico popolare, anche se lo meriterebbe. In questo primo scorcio di 2015 se ne segnalano tre di questi esempi.
Lorenzo Urciullo, meglio noto come Colapesce, è un trentenne siracusano che di km ne ha macinati a profusione, di musica ne ha ascoltata tanta e suonata altrettanto (sotto forme diverse anche). Con il disco di inizio febbraio è il rappresentante di una scena dove la parola ha il suo peso e la forma non le è da meno. Egomostro è un attento studio di testi e di suoni, oltreché un percorso sull’io umano (e quello dell’artista, in primis); si guarda a Battisti (quello di Una Giornata Uggiosa) e a Battiato, per la cura sui testi. Rispetto al Meraviglioso Declino che lo aveva lanciato nel panorama nazionale, Egomostro è un disco più intimo e monolitico, un album maturo con canzoni meno radiofoniche ma tanta qualità. Sullo stesso terreno, ma declinando il pensiero in modo diametralmente opposto, si muove anche il bresciano Paletti che con il suo Qui e Ora attinge a piene mani alla tradizione degli anni ‘80 (quella degli Alberto Camerini e del Bowie newyorkese, però), ironizzando e imparando la lezione di quel mondo patinato e fatto di colori fluo per allontanarsene e raccontare gli anni ‘10 con tutte le loro contraddizioni. Chi invece ne fa una questione di rivoluzione dogmatica, assoluta, e che riesce (più degli altri) a raggiungere un’intensità emotiva a tratti magari barocca, ma stravolgente, è il più esperto (non fosse altro che per anagrafica) Umberto Maria Giardini (un passato, come Moltheni, anche in quota “indie” al Sanremo faziano di inizio millennio) che tira fuori dal cilindro un disco semplicemente bello. Protestantesima è un cantautorato, di base rock, ma che di fatto rifiuta qualunque tipo di catalogazione e stereotipazione di genere. Un disco pieno di coraggio in cui la “protesta” è fatta contro quei “cavallieri inesistenti” incapaci di dare un contenuto e una vita oltre a quel che la forma e il significato colloquiale delle parole possono rappresentare.
Colapesce “Egomostro” 2015, 42 Records.
Paletti “Qui e Ora” 2015, Sugar Music.
Umberto Maria Giardini “Protestantesima” 2015, La Tempesta.


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