
Raccoglie unanimi elogi il nuovo allestimento del Museo Egizio inaugurato a Torino il primo aprile in spazi raddoppiati, con percorsi spettacolari e coinvolgenti per visitatori d’ogni estrazione e d‘ogni età. Alcune sale storiche vicino all’ingresso ripercorrono la sua storia avviata nel 1824 per volere dei Savoia. E tra i suoi iniziatori è giusto ricordare un monregalese... Nella realizzazione del primo nucleo del Museo svolse infatti un ruolo importante il conte monregalese Giulio Cordero di San Quintino: anche se, per gli ancora incerti criteri adottati, si attirò polemiche e incomprensioni da un astro nascente dell’egittologia, il francese Champollion. Dall’Egitto a Torino - L’antico Egitto era allora di gran moda grazie alle scoperte e agli studi degli esperti che Napoleone aveva voluto al suo seguito nella campagna militare del 1797. Statue e documenti della civiltà faraonica erano stati messi assieme ingordamente e scriteriatamente. E un viaggiatore e archeologo casalese, Carlo Vidua, che aveva visto la collezione del Drovetti, aveva preso a insistere perché il Piemonte non perdesse l’occasione di formarsi con quelle “anticaglie” un Museo di prestigio. E nel 1823 il re piemontese aveva allora incaricato la Regia Accademia delle Scienze di studiare un eventuale ordinamento della collezione in Museo. In quel “Comitato” fu incluso il San Quintino, che da Lucca poteva facilmente raggiungere Livorno. Il rapporto e l’inventario che ne stese risultò così favorevole da pungolare i Savoia all’accordo definitivo col Drovetti nel gennaio del 1824. Un’arrischiata ma illuminata operazione che costò 400 mila lire: metà del bilancio della pubblica istruzione!
A quel punto toccò al San Quintino presiedere al trasporto della poderosa collezione da Livorno a Genova via mare e di lì a Torino; e fu una prova estenuante per uno studioso come lui, meditativo e scrupoloso. Egli si trovò infatti impegolato in difficoltà pratiche d’ogni tipo: trovare con gli esigui fondi a disposizione la nave e i carri adatti al trasporto; ottenere da “camalli” e artiglieri un minimo di delicatezza nel maneggiare opere così preziose...
“Queste maledette mummie, potevano ben rimanersene nelle spelonche della Tebaide!”, si sfogava per scritto nei momenti di stanchezza. Tutti i pezzi, comunque, giunsero integri a Torino: anche il colossale re Sethi II, alto più di 5 metri, per il quale occorseropiù affusti di cannone trainati da 16 cavalli.
In contrasto con Champollion - Torino aggiunse così al Museo d’arte antica già esistente nel palazzo dell’Università con esemplari d’arte classica ed egiziana, una sezione staccata di Museo Egizio, di cui Cordero fu nominato Conservatore aggiunto. Il suo compito, adesso, consisteva nell’ordinare la raccolta in sei sale a pianterreno del palazzo dell’Accademia delle Scienze; ed egli vi si accinse con slancio. Senonché si trovò presto tra i piedi un ingombrante ospite: Jean Francois Champollion addirittura, il giovane orientalista francese che pochi anni prima aveva decifrato i geroglifici della stele di Rosetta e si era precipitato a Torino per proseguire i suoi studi e verificare il suo metodo su una raccolta così ampia.