Mafia in provincia di Cuneo: le carte, i processi

Il dialogo tra un piemontese di origini calabresi ed un elemento di spicco della ‘Ndrangheta intercettato in un agrumeto di San Luca, in Calabria, aprì, alcuni anni fa, un inquietante squarcio sulle diramazioni della criminalità organizzata in Piemonte e in provincia di Cuneo in particolare. Nel colloquio registrato si richiedeva al “boss” calabrese di poter aprire una “locale” ad Alba, per non dover più far riferimento a quella di Asti «siccome qua abbiamo il numero… siamo un bel gruppo...». Ma c’è di più: se Asti non andava bene, si proponeva di aggregarsi alla “locale” di Fossano. Questa intercettazione ha dato il via all’operazione “Albachiara” (in riferimento alla città di Alba), sfociata poi in un processo che ha visto condannate con sentenza definitiva 19 persone per infiltrazione mafiosa. «Un processo celebrato tra il disinteresse generale dell’opinione pubblica, ma anche degli amministratori locali della “Granda”», ha spiegato l’avv. Valentina Sandroni, referente provinciale di “Libera”, venerdì scorso durante l’incontro “Mafie in Granda”, promosso dal presidio monregalese dell’Associazione contro le mafie, in Stazione, a Mondovì Altipiano. La Granda è considerata un’isola felice, anche in virtù della sua economia ancora fiorente malgrado la crisi, se paragonata a molte altre zone del Paese. Ma è “felice” anche per i delinquenti: «In Piemonte e nel Cuneese le mafie trovano “morbido” – ha detto Valentina Sandroni –. Non servono le minacce, non serve bruciare i cantieri: se c’è convenienza, trovano sponde con cui fare affari, che non si fanno troppe domande sulla provenienza del denaro. Gli imprenditori dovrebbero fare molta attenzione, invece, a chi si rivolge loro per investire». È intervenuto anche Andrea Giambartolomei, giornalista del “Fatto Quotidiano” che, scendendo nei dettagli di Albachiara, ha spiegato come il processo abbia rischiato di arenarsi quando il giudice aveva valutato che semplici “riti di affiliazione” alla ‘Ndragheta e la presenza di armi da guerra, ma senza gravi reati evidenziati, non erano sufficienti per procedere. «Invece poi il processo è giunto fino in Cassazione, dove la Corte il 4 marzo ha messo un punto fermo: questa della “Granda” è ‘Ndrangheta». Numerose, inoltre, le criticità della provincia di Cuneo evidenziate durante la conferenza anche dagli interventi del pubblico: dai traffici di rifiuti, all’interesse delle mafie per le cave e per le sofisticazioni alimentari (settori “pericolosi” in una provincia che su ambiente e gastronomia punta molto), al traffico di farmaci rubati, al “caporalato” su cui «la nostra è una provincia da bollino rosso». Dal pubblico della Sala “Prima Classe” pure una forte preoccupazione per lo sfruttamento della manodopera da parte di cooperative gestite dalla criminalità, talvolta straniera. Dove si creano margini di ingiustizia e sfruttamento, come è successo per la “deregulation” delle norme sul lavoro, la criminalità trova nuove occasioni per prosperare.