Arrestata la banda della rapina di Lisio

Professionisti. Vivevano di crimine, quello che rubavano lo rivendevano in centro Italia. Erano in sei, oggi tre di loro sono finiti in manette (uno in carcere e due ai domiciliari): si tratta di Clirim Neziraj, Albis Rexhepaj e Adnand Vuthaj, tutti albanesi. Sono i responsabili di una mezza dozzina di furti in casa e della violentissima rapina di Lisio avvenuta a dicembre. I Carabinieri li hanno presi dopo un’indagine meticolosa durata mesi.
«Colpisce la brutalità di questi malviventi – spiega il capitano Raffaello Ciliento, comandante della Compagnia Carabinieri di Mondovì che ha condotto l’indagine –, che non si sono frenati neanche davanti a un vittima su una sedia a rotelle». Parla della rapina dello scorso 20 dicembre al mulino di Lisio, quando due persone (padre e figlio) sorpresero i malviventi in casa e vennero aggrediti dai rapinatori. L’indagine partì proprio da lì, dopo il controllo di una prima persona che si trovava nei pressi dell’abitazione apparentemente “per caso”. Da qui venivano individuati gli altri cinque. I colpi sono stati commessi a Mondovì e in molte zone della Val Tanaro, Ceva, Mombasiglio, Garessio, Bagnasco. «Conoscevano bene la zona – ha spiegato, nella conferenza stampa, il luogotenente Sagnelli –, vivevano tutti in Val Tanaro (Bagnasco e Garessio) ed erano facce note, con precedenti. Usavano basi logistiche in vallata, per i colpi si servivano di complici che chiamavano in Italia apposta per fare i colpi». Rubavano l’oro dalle case e poi lo rivendevano nei “Compro oro” in centro Italia.
Minacciavano le vittime con bastoni, niente armi da fuoco. Altri dettagli sono stati forniti dal colonnello Magliocchetti, dal procuratore Nanni e dal sostituto Bolla: «Un sodalizio particolarmente spregiudicato, i reati venivano commessi a prescindere dalla presenza in casa delle vittime e con estrema determinazione. Per muoversi usavano auto rubate, da usare appositamente per i furti, che poi abbandonavano in località isolate oppure molto affollate, e da qui si allontanavano a bordo di un mezzo “pulito”, sempre diverso per non attirare l’attenzione». Ciliento: «Il modus operandi era quello di, individuata una zona, “passarla a tappeto” scegliendo fra gli obbiettivi più vulnerabili quello da colpire, approfittando ad esempio delle distrazioni delle persone che in più di un’occasione non si assicurano della perfetta chiusura degli infissi delle proprie abitazioni».
La fase finale è scattata con l’impiego di una quarantina di uomini, e sono scattati gli arresti. «Sembra che per queste persone – è la considerazione finale della dottoressa Nanni – il nostro sistema repressivo non costituisca un deterrente sufficiente. Colpiscono e accettano il rischio, credendo comunque di farla franca».