E si chiamasse Entertainment?

In un live le emozioni sono attimi, destinate a un briciolo di eternità; momenti che lasciano il segno, che ricorderemo per un po’ o che rimangono indelebili. Il caldo luglio ha permesso a molti eventi di svolgersi senza irrimediabili intoppi; di musica ce n’è stata tanta e tanta se n’è sentita. Il ricordo più vivo è quello più vicino temporalmente, domenica 26 luglio con i Kings of Convenience a Monfortinjazz che hanno incantato la cavea dell’auditorium Horszowski gremita in ogni ordine di posto, nonostante si sia sentito qualche mugugno sul costo del biglietto.
L’elemento “economico” degli eventi musicali quest’anno è forse uno degli argomenti tornati di scottante attualità (avvertite lamentele anche sui 23 euro richiesti tra prezzo, parcheggio e navetta di Collisioni): da una parte la necessità di remunerare un’attività, come quella artistica, che forse più di altre è difficilmente quantificabile in termini economici; sul versante opposto la ritrosia del pubblico a pagare un biglietto elevato per eventi culturali (l’adagio è che la cultura debba essere accessibile e a disposizione di tutti), nel passaggio intermedio la necessità di chi organizza l’evento di non dover chiudere in rosso a fine anno (specie se poco o solo in parte finanziato).
Per quanto la posizione di chi scrive è di sicuro privilegiata, la sensazione che si ha è che da qualsiasi verso si prenda la coperta, questa risulti corta: le soluzioni Up To You (“decidi tu”, del paga quanto credi) fanno felici il pubblico, ma di rado (a meno che il cachet valga poco più di un rimborso spese) riescono a rendere profittevole l’appuntamento; non si capisce come faccia, chi organizza eventi, a remunerare sé stesso (nei casi in cui non sia volontario) e la struttura che lo sostiene, se non può esserci economia; in Europa c’è una netta “separazione delle carriere”, i biglietti sono mediamente più cari, lo Stato, gli Enti locali e i privati se (e quando) lo fanno, intervengono con altre capacità, mentre l’associazionismo ha un peso diverso; al contrario in Italia il “Pubblico” è molto legato a logiche “di orticello”, e il settore non “industrializzato”, poco parcellizzato e troppo statico (chi organizza i tour sempre più spesso organizza anche gli eventi). Si è lontani dall’equilibrio che consenta al settore di progredire e non di appiattirsi su logiche di potere o commerciali che favoriscono poco l’aspetto creativo, ma sottendono regole più utilitaristiche. Il tentativo da fare, per parlare di tanti appuntamenti in giro, sarebbe quello di sostituire un troppo altisonante e abusato (forse) termine di “cultura” con un ben più pertinente “intrattenimento” (più o meno intelligente che sia). Lo spazio per far cultura c’è e sarebbe bene trovarne altro, ma dare una autonomia anche all’intrattenimento sarebbe la scelta più onesta da fare, in onore e nel nome di quella armonia che invece si trova ancora nelle note, nelle corde e nelle voci fatte vibrare dagli artisti, come Erlend Øye e Eirik Glambæk Bøe in una cornice sublime, col rumore delle foglie degli alberi mossi dal vento che accompagnava gli accordi delle loro canzoni; qualche “stecca” qui e là che segnalava un’empatia ancora da ritrovare, ma che in ogni caso non ci impedirà di ricordare per lungo tempo di quando i Kings of Convenience vennero a suonare in un piccolo borgo come Monforte. E per una emozione così è difficile quantificarla, e non c’è prezzo che tenga.
alcuni video del live dei Kings of Convenience a Monfortinjazz:
La musica dei Kings of Convenience non si segue battendo le mani, ma schioccando le dita