La chiesa più antica di Mondovì

E’ in una posizione nobile, all’inizio del pianoro del Ferrone, specie di avanguardia solitaria delle bellezze storiche della città, sul ciglio della vallata dell’Ellero. Era un po’ dimenticata dai monregalesi, sepolta da un intrico di edera e di rami, resa quasi invisibile. Mani volonterose del “Comitato S. Bernolfo” della parrocchia e dell’Associazione “Cui dur Ferùn” le hanno dato un po’ di respiro, nelle settimane scorse, con guanti da lavoro e olio di gomito. Per la festa agostana del quartiere quelle stesse mani hanno allestito una mostra fotografica (con gli scatti sapienti di Guido Galleano), ora esposta nella chiesa parrocchiale, e stanno curando relazioni e progetti di recupero da presentare a Fondazioni ed Enti (con l’aiuto dell’arch. Marco Golinelli), per finanziare l’urgente rifacimento del tetto ed il restauro degli affreschi interni. Si tratta di un edificio assai importante per la storia di Mondovì, per tante ragioni.
Verosimilmente duecentesca, viene menzionata per la prima volta nel testamento di Guglielmo Rogerio di Vico, il 5 aprile 1301, ed è pertanto tra gli edifici più antichi della città. E’ l’unica chiesa nota di tutta la cristianità dedicata a S. Bernolfo. Si tratta di un santo “locale”, che la tradizione vuole essere stato sepolto nella cappella, e le cui spoglie furono traslate in cattedrale – la testa conservata in un prezioso reliquiario d’argento del ‘400, come ha documentato Giancarlo Comino – e poi disperse in età francese. Non si tratta di un santo qualunque, ma del santo patrono di Mondovì, al fianco di S. Donato. La cappella è dunque fin dal Medioevo il luogo sacro della città. Ogni anno l’Amministrazione comunale effettuava una solenne e impegnativa processione il secondo giorno di Pasqua alla tomba del proprio santo co-protettore, attestata fin dal 1498.
L’apparato pittorico interno è il riflesso di tale importanza civica: sul pregevole retablo (un affresco racchiuso in una cornice architettonica fittizia) dietro l’altare compaiono infatti proprio S. Bernolfo e S. Donato, a contemplare una Madonna con Bambino del tardo Quattrocento (di cui Geronimo Raineri e Giovanna Galante Garrone hanno scritto pagine di grande elogio), sotto un’Annunciazione e sopra i Dodici Apostoli con Gesù. Proprio sopra la raffigurazione della Madonna è dipinto un curioso Cristo meditante, seduto sulla croce, di ascendenze nordeuropee.
Forse di minor pregio, ma certo più antichi e misteriosi sono gli affreschi dell’abside: affiorano dallo strato di calce da cui sono ancora in parte nascosti. Rivelano la rappresentazione del martirio del santo – ne parla una testimonianza del ‘700 – ed altri cinque santi, in posture severe. Una data graffita da un pellegrino indica “agosto 1417”. Sulla facciata esterna, liberata dalle erbe infestanti, compaiono brandelli di affreschi ormai quasi del tutto illeggibili: quello meno offuscato rivela la figura di un vescovo con mitra e pastorale che incontra una figura con saio. Chissà: forse proprio S. Bernolfo che accoglie S. Francesco, che una leggenda vuole pellegrino a Mondovì.
E’ evidente come la cappella abbia subito nei secoli riadattamenti e modificazioni. La costruzione dell’altare in muratura nel Quattrocento e la copertura degli affreschi antichi, in primo luogo; la chiusura delle tre finestrelle romaniche dell’abside, l’innalzamento delle pareti e del tetto con aggiunta di finestre poi; infine il riorientamento dell’ingresso verso Ovest, sotto un pronao goticheggiante del secolo XIX, e la costruzione di un campaniletto, nel 1933: sono tutti segni di un culto, e di una frequentazione che non hanno avuto soste, per otto secoli.
Ma c’è dell’altro. “San Bernolfo” era soprattutto un luogo molto frequentato: così viene chiamata, fin dai tempi antichi, la zona tra la cappella, l’Ellero e la antica strada Morozzenga, che guadava l’Ellero nei pressi e che collegava gli insediamenti di Vico e di Morozzo ben prima che Mondovì esistesse. La lapide romana murata all’interno della cappella testimonia di questo “luogo di S. Bernolfo” pre-monregalese: una dedica della tomba da parte di Aulo Aurelio Blaienio (o Vilaienio) a suo figlio, che porta il suo stesso nome. Sono i primi “ferronesi” della storia? La zona delle “ripe di S. Bernolfo” era utilizzata come luogo terminale della fluitazione annuale del legname pubblico, che veniva dalle Valli monregalesi, e che veniva qui tirato in secco, tagliato e distribuito, spesso in mezzo a furti, frodi e litigi. Come attestano gli Ordinati cittadini, poi, fu qui aperto un lazzaretto in occasione della peste, nel maggio del 1630. A valle della cappella furono costruite le “cabane” di legna per gli ammalati e per i quarantenanti, che svolsero la loro funzione fino al 16 febbraio 1632. La presenza di una sorgente potabile e della stessa acqua dell’Ellero giustificava la scelta del luogo: non ultima ragione, perché come ordinava il Magistrato della Sanità, il bestiame che proveniva da luoghi sospetti di contagio doveva essere immerso nell’acqua dell’Ellero prima di venire ammesso entro la cerchia delle mura.
In ultimo, il mistero del “castello”. La cappella era probabilmente parte di un complesso edilizio più ampio, come risulta dalla rappresentazione dipinta in monocromia sotto l’ingresso attuale: una cortina muraria che a sua volta contiene una poderosa torre a pianta circolare, a carattere militare. Probabilmente un fortilizio a protezione della strada, forse crollato per un’esondazione del torrente, o per vicende belliche. Molti sono i misteri, e molte le bellezze ancora da rivelare, per S. Bernolfo, piccolo pantheon della Mondovì di un tempo, affidata alla cura ed alla sensibilità dei monregalesi di oggi.