
Chi si ostina a considerare la scrittura di Guè come una semplice zarrata, autocelebrativa e spaccona, ha una visione parziale del fenomeno, fondata su pregiudizi errati, senza una prospettiva storica e una reale conoscenza della questione. Chi ascolta Guè Pequeno da anni, come chiunque seduto al tavolo della Cena Polemica, conosce invece le radici dell’artista, i suoi inizi, l’ambiente di provenienza e lo stile di scrittura, che si è evoluto ed è cambiato nel tempo, come il timbro della sua voce. A inizio millennio (Sacre Scuole, Mi Fist coi Club Dogo e i primi mixtape “Fastlife”) la scrittura era febbrile, densa. Parole veloci e un timbro di voce meno basso di quello che siamo abituati ad ascoltare ora. Le tematiche spaziavano dal senso di rivalsa – ricorrente in ambiente rap – al bisogno di raggiungere una consapevolezza più profonda attraverso la scrittura, a tematiche più frivole come soldi, auto e vestiti. Saltava subito all’occhio un indiscusso talento nello scrivere, insieme a una completa onestà intellettuale. Su Mi Fist ci sono veri capolavori del rap nostrano; in Harboiled Sabotatori leggiamo: “Trasmetto dalla città dove piove acido, grigio / vento gelido come lo sguardo del mister col soprabito / ho versi trascendenti che infrangono le tue nuove trendy lenti trasparenti Fendi / senti rime più nuove del sangue di Johnny Lambs / che ogni anno si ricambia quando è saturo di bamba ...” (da notare la critica velata al Gianni Agnelli dell’epoca, che qui viene pronunciato all’inglese “Johnny Lambs”). Procedendo nel tempo, il Guercio ha poi intrapreso un filone di produzioni soliste di spessore sempre indiscusso, spostandosi su tematiche diverse, contrariamente all’opinione comune. Un esempio su tutti è Pillole (da Il Ragazzo d’Oro): un’amara riflessione sul malessere psichico combattuto con gli psicofarmaci. Oppure le numerose canzoni d’amore, cantate nelle sue ombre e nelle sue luci, senza mezzi termini (per es. Oro e Diamanti, o Amore/Odio, o ancora Equilibrio).
Dovendo riassumere il percorso evolutivo di Guè in termini di liriche partendo da un rap politicizzato e dissidente entro il quale l’obiettivo era “dare fuoco alle menti”, attraverso il promuovere un “socialismo militante”, l’artista è arrivato a un approccio totalmente indipendente e personalizzato, con un sua complessità intrinseca. Pequeno critica il sistema di valori dominanti dall’interno: professa il materialismo e ne denuncia la vuotezza, i soldi sembrano l’unico premio di consolazione per un senso di solitudine polare, inguaribile, che si scova in ogni singolo testo, ogni singolo album. I suoi lavori vanno ascoltati in profondità, con calma: l’unico approccio possibile per accedere a un lettura più ampia e stratificata del suo lavoro culturale (perché, al di là delle apparenze, di questo si tratta).