Elettronica d’avanguardia, no chic

L’edizione appena terminata del Club to Club è stata una di quelle kermesse che non si metabolizzano in fretta; come quei dischi da ascoltare parecchie volte prima di capirli e eventualmente apprezzarli. I pensieri sono ancora caldi, poco lucidi forse, sicuramente enfatizzati dall’entusiasmo che si è costruito attorno a una manifestazione che può essere considerata il fiore all’occhiello della programmazione torinese.
Innovazione e varietà i leitmotiv degli show di Lingotto Fiere: venerdì Chet Faker, dietro al nuovo nome di Nick Murphy e dietro a una consolle invece della consueta chitarra acustica, ha proposto un set eterogeneo ma quadrato, tra nuovi brani inediti e remix di spessore; di potenza impressionante il djset successivo, con Laurent Garnier che per tre ore ha fatto ballare a ritmo di techno un pubblico partecipe, lasciando poi spazio a una delle esibizioni più sui generis dell’intera rassegna: non saprei come definire infatti, se non disturbante, lo spettacolo sonoro proposto dagli Autechre, che in una sala completamente buia hanno saputo stordire e ipnotizzare anche l’ascoltatore più disattento.
Tante perle anche la sera di sabato, cominciata con l’energica mezz’ora del giovane e promettente rapper Ghali e proseguita con l’atteso progetto griffato Jonny Greenwood ‘Junun’: dieci musicisti insieme sul palco, coordinati alla perfezione, che hanno regalato un’esibizione estremamente coinvolgente, a tratti evocativa, a tratti forsennata. Live set da godere a 360 gradi quello di Dj Shadow, che ha ripercorso la sua onorata carriera accompagnando la musica con video e grafiche di estrema qualità; unica pecca non aver assistito allo show di Daphni (ex Caribou), esibitosi in contemporanea con Shadow. Il momento clou della serata è cominciato all’una e mezza con il dj set di Jon Hopkins, forse in assoluto il più totalizzante: magistrale la selezione, prettamente techno, del vate londinese, dopo il quale non ha però sfigurato la prestazione martellante di Motor City Drum Ensemble.
L’adrenalina non ancora completamente smaltita impedisce forse di tracciare un quadro generale oggettivo, elaborare un giudizio lucido e non influenzato dalla giustificabile euforia che questi festival suscitano. Tuttavia quel che è certo è che il Club to Club sia una manifestazione magnificamente riuscita, intrisa d’avanguardia e sperimentazione ma che difficilmente risulta radical-chic e pretenziosa (e i presupposti pure ci sarebbero): merito sicuramente di chi anche quest’anno ha studiato una formula che potesse coinvolgere tutti, e le presenze registrate (45.000) sembrano confermare. E allora si può soprassedere sui bagni chimici raggiungibili solo dopo una corsa sotto la pioggia e “beverage” a prezzi non certo popolari: l’elemento sostanziale, la musica, non ha deluso le aspettative.