Bowie icona dell’anno
Mai come nel 2016 nella musica si sono contate così tante croci: le morti più eclatanti sono state quelle di Prince e ancor di più quella di David Bowie, arrivata a pochi giorni dall’inizio dell’anno, a ridosso del suo sessantanovesimo compleanno ed in concomitanza con l’uscita di Blackstar, che, col senno di poi con le uscite del brano omonimo e di Lazarus, già nel 2015 si proponeva come testamento poetico di quest’autentica icona: l’uomo, il personaggio, la malattia, la musica, separate stanze di una stessa identità; il naturale album dell’anno. Un primo posto che tuttavia non ha vinto a mani basse, visti i valori in campo di chi era in competizione: lo straziante, profondo e cupo Nick Cave, i Radiohead che dopo il mezzo passo falso del King of Limbs sono tornati con una nuova gemma, il cantautorato-folk ricco di contaminazioni di Bon Iver che dopo il successo è tornato con un album meno ricco (forse) di canzoni radiofoniche, ma con una potenza e una intensità lirica di più alto spessore, e infine un disco di rock vero, autentico e come non se ne sentiva da un po’, come quello dei Black Mountain.
Se fuori confine i generi sono vari, in Italia ci si concentra molto a ridefinire il pop: ci hanno provato un po’ tutti, da Calcutta a iCani passando per Cosmo; i migliori risultati sono stati quelli di Francesco Motta, migliore opera prima ed un live (al Nuvolari) come non se ne sentivano da tempo, Niccolò Fabi che che confeziona un disco ricchissimo poco italiano, ma assai convincente, e il casertano Old Fashioned Lover Boy. Il disco più bello però quest’anno arriva da Torino e rende il jazz un genere naturale e ben poco costruito: Manuel Volpe ripercorre la scia di Mulatu Astatke con un disco a dir poco meraviglioso. Gli Zen Circus invece scostandosi poco dal seminato hanno costruito un album ricco di tensione positiva (e una gran bella canzone come Non Voglio Ballare).
Cos’altro vi siete persi? Due live memorabili come quello di Pistoia dei National (ancora tutto davanti agli occhi) e la performance di John Carpenter in occasione del ToDays Festival; due brani di Sorge (In Famiglia e Bar Destino) che mettono insieme lirismo, recitato ed elettronica in un cocktail da far accapponare la pelle, quasi quanto Jesus Alone di Nick Cave che vale, da sola, un Nobel per la letteratura; i Sophia di Resisting, la coda finale di Daydreaming, le zone di guerra di PJ Harvey e la poetica politica di Anohni, i ritorni di Justice e Tortoise, l’inaspettata sorpresa di Andrea Fornari e dei Goat, e il bell’esordio degli Anudo (Zeen), uno dei tanti esempi di come la provincia sforna musica di altissima qualità che andrebbe tenuta d’occhio con più rispetto.