Planetarium: A volte per vedere qualcosa è necessario spegnere la luce

TRAMA
Le sorelle Laura e Kate Barlow sono due medium americane in tournée per l’Europa col loro spettacolo di spiritismo, alla fine degli anni ’30 durante una seduta in Francia incontrano Korben, produttore cinematografico di un importante studio francese. Affascinato dalle due ragazze Korben decide di lanciarle nel mondo del cinema, offrendogli un contratto e ospitandole in casa, ma ben presto si dimostrerà più interessato a sperimentare a livello personale l'attività paranormale che gravita attorno alle due sensisitive.
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Per ammirare la volta celeste in un planetario è necessario ritrovarsi alla presenza di una perfetta oscurità, il buio dove non si vede quello che ci appare sempre davanti ma che ci mostra ciò che si nasconde, come le stelle che non brillano al sole o gli spiriti che a volte appaiono di sfuggita sulle superfici scure della pellicole; ed è questo che Korben va cercando nella sua costosa produzione di un film che ha come fine solo la ricerca di una prova visibile della sua esperienza extrasensoriale con le medium, creando un triangolo pericoloso e infraintendibile con le due sorelle, dove la maggiore si prende cura e protegge la minore, vera detentrice del “dono”. Non sono i vivi che hanno bisogno di entrare in contatto coi morti per questioni sospese ma viceversa, questa è una chiave di lettura che viene offerta da una delle sensitive in una trama complicata aperta a diverse interpretazioni: spiazzante e depistante, bisogna prestare attenzione agli indizi lasciati per strada dalla regista Rebecca Zlotowski, dettagli capaci di spostare la scena dal piano reale a quello onirico, in uno sviluppo difficile da seguire e in cui è facile perdersi nelle tematiche affrontate: dall’erotismo alla riflessione sul cinema, al rapporto con gli affetti perduti all’antisemitismo e ovviamente allo spiritismo, avulso dallo scetticismo che sembra invece paradossalmente intaccare il mondo reale.
Avvolti in una nube di incertezza, costantemente in bilico tra dimensione onirica e realtà, lo spettatore attraversa inconsciamente questi due livelli , come entrando ed uscendo da un’attività extrasensoriale, vivendo in uno stato di estraniazione paragonabile a quello di un'esperienza paranormale , forse è questa la sensazione che la regista vuol farci provare; usando l’ossimoro che per vedere a volte è necessario il buio, sembra anche tirare in ballo un gioco caro al regista David Lynch, dove occorre mutare gli elementi per poter trovare i dettagli che consentono di seguire il percorso narrativo corretto.
C’è forse un po’ troppa carne al fuoco, gli interrogativi si moltiplicano e arrivano a conclusioni vaghe, probabilmente in maniera voluta, cercando di impegnare il pubblico ad una riflessione o dandogli l’opportunità di una personale interpretazione, rischiando però di volare in maniera troppo superficiale sui temi trattati, non consentendo di appassionarsi a trama e personaggi, costringendo ad una faticosa visione che alla lunga può stancare, in un opera dalle premesse comunque affascinanti , raccontata in modo sofisticato, freddo e formale come gli l’abiti indossati dalla maggiore delle sorelle.