RADIOHEAD, le emozioni dell’ultima rock band

L'apertura del live dei Radiohead - foto di Mauro Ravarino
Come si può parlare di un live, il giorno dopo, quando hai ancora le orecchie piene di tutti i suoni ascoltati, le papille uditive che “friccicano” al semplice impulso dei neuroni nel trasmettere il ricordo di una canzone? È molto difficile per chi scrive raccontare il live dei Radiohead di venerdì 16 giugno all'autodromo di Monza senza anticipare che quello che andrete a leggere difficilmente potrà essere obiettivo e oggettivo, ma viziato da una componente emotiva che va al di là del semplice commento di un "musicofilo".
Emozioni a fior di pelle che andranno e verranno ancora per un bel po' al semplice ascolto di uno stralcio di brano. E la cui esplicitazione merita un racconto di come e dove è stata vissuta.
DAYDREAMING
La luce di taglio che arriva all'imbrunire che si allunga sulla radura del parco e si staglia contro il palco, l'aria che, dopo la calura del giorno, poco a poco si sta alzando, tu in coda a cercare di prendere da bere per rifocillarti (visto clamoroso ritardo per le code – due ore – in tangenziale est) e la fiumana di gente che alle prime note di Daydreaming comincia ad affluire verso la zona live: una serie di rivi e ruscelli che poco alla volta formano un mare di gente e luci che poco a poco lasciano spazio alle emozioni del palco nella successiva Deserti Island Disk.
SUONO
Il suono è qualcosa a dir poco di impeccabile: la fortuna, seppur lontani (molto lontani, rispetto agli standard abituali e di pubblico presente) dal palco, di stare in una posizione in cui tutto si sente perfettamente bene, lo si percepisce su All I Need (in diretta dal bar centrale dietro l'area mixer), Reckoner, Weird Fishes/Arpeggi e nelle armonie di sottofondo delle chitarre di una bellissima Fake Plastic Trees.
LA MISURA
La misura, in musica (detta in modo un po' semplicistico forse), è un'interpretazione per la scansione del tempo. Ad un concerto come quello dei Radiohead - Milano 2017 esprime la cifra dell'ultima in termini temporali autentica rock band che si sia potuta ascoltare in circolazione: capacità di artistica ben sopra la media, con grande voglia di creare senza mai esagarare, conoscendo i propri limiti, facendo pop quando si voleva essere pop (Paranoid Android e No Surprises) e innovando quando c'è da farlo (Idiotheque). In live questo concetto si ribalta sugli arrangiamenti che impattano in alcuni casi come quelli di una band che suona in semi-acustico (nel primo caso) dopo che, qualche brano prima, si era lanciata in una session in cui tutto sembrava passato unicamente al setaccio di macchinari computerizzati ed elettronici con la sola voce di Thom Yorke a fare da sfondo (nel secondo caso).
La band vista da sotto il palco (foto di Veronica Viotti)
CONTEMPORANEITA' e LINGUAGGI
I Radiohead sono la rock band che più ha segnato e influenzato la “cultura pop” negli ultimi 30 anni, ed è innegabile vederne i segnali di questo aspetto in quanto descritto poc'anzi così come nell'allestimento del palco su cui va in scena la loro rappresentazione: tre ovali giganti che a seconda dei contesti mostrano dei giochi luminosi, profondi tubi di colori o bianchi/neri in cui tuffarsi o una serie di artisti che, insieme, grazie a dissolvenze e sovrapposizioni, creano un tutt'uno; ma sempre e comunque tre oblò sul mondo, da cui guardare verso l'esterno e per provare a guardarsi un po' dentro (2+2=5 e Body Snatchers).
L'impatto coreografico del live (foto Ilaria Bossa)
BALLATE
Il silenzio assoluto, religioso. Exit Music (for a Film) e le già citate Fake Plastic Trees e No Surprises fanno accapponare la pelle, non solo per la loro capacità emotiva ma per come il pubblico assiste emozionato; l'accenno di una mezza parola da parte di qualcuno faceva partire immediatamente uno “Shh!!!” garbato, ma deciso.
Area palco dell' I-Fest di Monza (foto Ilaria Bossa)
IL GRAN FINALE
Lotus Flowers, Creep e Karma Police. Il secondo encore è da brividi, anche perchè difficilmente la band lo inserisce, in questa serie, nei live. La gente si lascia andare, anche quelli rimasti più impassibili (specie tra quelli che alzano l'età media del live) non trattengono la voglia di cantare “But I'm a creep, I'm a weirdo.” in un abbraccio finale e collettivo in cui l'elemento della condivisione (dal vicino sconosciuto a quello che immancabilmente si vede a ogni concerto, dall'amico che non si vedeva da decenni a quello con cui le “tappe importanti” si fanno insieme), in un live come questo, rappresenta un valore che difficilmente si può spiegare o raccontare, come si è cercato di fare in queste righe.