Apocalisse animata al tempo di Netflix: “Devilman: crybaby”
Attendevo da un po' di vedere “Devilman: crybaby”, la nuova versione anime del manga di Go Nagai sulla figura dell'uomo-diavolo buono realizzata da Masaaki Yuasa per Netflix. Dieci episodi da 20 minuti l'uno. L’ho praticamente divorata in un weekend.
Merita? Sì, che merita.
Parecchio.
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"Devilman: crybaby": il trailer
Due premesse brevi:
1) l'ho visto in lingua originale coi sottotitoli, quindi non ho idea di come sia il doppiaggio in italiano
2) è un anime FORTE, sia ben chiaro. Per tutta - tutta - l'opera il tasso di violenza visiva e tematica è altissimo, le scene esplicite sono ovunque.
Confesso di non aver mai letto il manga-capolavoro di Go Nagai. Ne sento parlare da sempre, eppure l’unico Devilman che avevo conosciuto era quello del primo anime (all'epoca li chiamavamo "cartoni animati"), quello trasmesso anche in Italia e –ora lo capisco– in versione stra-edulcorata.
“Devilman: crybaby” invece è un anime adulto, durissimo, giustamente VM18, che rifila una serie di mazzate una dietro l’altra in un contesto fortemente drammatico. Con picchi alti quanto le nuvole, ma profondi quanto l’abisso. Sublimi ma spietati.
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Il protagonista è il giovane Akira, liceale che vive come ospite nella casa della famiglia della bellissima Miki, della quale è invaghito. Coinvolto dall'amico di infanzia Ryo in un'indagine sul mondo degli adoratori degli inferi, si ritrova in un sabba in cui viene posseduto dal demone Amon. Akira però non cede al male: grazie all'amore per Miki conserva il suo cuore umano e inizia la sua battaglia per salvare gli uomini della Terra dal male che avanza.
Nagai partiva da tematiche assolutamente occidentali. Il suo Devilman era fortemente debitore della cultura cristiana, della "Divina Commedia" di Dante e delle illustrazioni di Dorè. Yuasa prende la storia di Akira-Devilman e la traspone nella nostra epoca, fatta di social network, musica rap, ossessione per l'apparenza e pornografia web. Il risultato è un viaggio crudo, di un'intensità incredibile eppure assolutamente non gratuito.
Più si va avanti negli episodi e più il contesto acquista un contorno diverso: tutt'altro che finalizzato a esaltare il male, bensì a sottolinearne l'atroce opera per mettere in risalto il cuore buono. Più Akira-Devilman si pone domande, più la prospettiva cambia. E nell’ultima parte della serie, quella che apre lo scenario al finalone (anche se chi conosce il manga sa di cosa si parla), si toccano apici in cui è difficilissimo non piangere.
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“Devilman” è un anime ultra violento che però in ultima analisi ci parla di amore e sacrificio: cioè, i pilastri di tutta l’opera sono in pratica i temi cardini della cultura cristiana. C’è quella domanda – che Akira-Amon si pone quasi esattamente a metà dell’opera, e che quando arriva cambia tutto. E c'è quel dettaglio, quello che pensi sia solo un “super potere” dei demoni... e poi scopri che è un inno al privarsi di qualcosa per darlo agli altri. «Usa me!». Mamma mia.
Ma “Devilman” è anche un'opera spietata, disturbante. Strapieno di morte. Non cercate la bontà di fondo, perché nel mondo di Devilman non ve ne è traccia. Per un'innocenza che torna a galla grazie a un cuore puro, quello di un bambino che piange (da qui il titolo), c’è un’umanità che volta le spalle e sceglie la violenza e il sangue. Per ogni mostro-umano, ci sono migliaia di umani-mostri.
Ah, e poi ovviamente... c'è l'Apocalisse. E qua ci fermiamo, perché spoiler proprio non se ne possono dare. Però si può e si deve dire che “Devilman” si rivela una storia pazzesca (ma qua è merito di Go Nagai, non di Masaaki Yuasa): lo era 45 anni fa quando è stata immaginata, lo è oggi quando la tensione internazionale è ai livelli che ben conosciamo. Il male che permea il mondo e che si alimenta dei suoi conflitti suona assolutamente presente.
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Tutto bello? No, qualche difetto c’è.
La serie sembra forzatamente voler strizzare l'occhio alle nuovissime generazioni con innesti che, a tratti, sembrano davvero inutili. Laddove serve ad alzare il tono della tensione e a disturbare pesantemente lo spettatore, va bene: lo mette in sintonia con le pulsioni feroci di Akira-Amon, è efficace. Altre volte, sembra buttato a casaccio. C'è chi dice che questo Akira sia un po' troppo... emo. L'emo alla "Evangelion", quello che per un nulla rischia di trasformarti il finale di un capolavoro in un gigantesco buco con il niente attorno. In effetti, questo rischio c'è: il titolo fa capire benissimo che qua si pigia forte sul tema. Ma è un difetto a metà, e alla fine la struttura regge (e regge bene).
Infine, ma è una questione di gusti, c’è un'impostazione grafica che definire “spiazzante” è dire poco. Qua Masaaki Yuasa davvero se ne frega del buon gusto e va per la sua strada. Un’animazione e un design che, per quanto siano spietatamente efficaci laddove servono, a volte fanno davvero alzare il sopracciglio.
E alla fine?
Alla fine, nonostante queste pecche, "Devilman: crybaby" è notevole. Duro, violentissimo, esplicito, ma commovente, toccante e infine illuminante. Il messaggio è fortissimo.
https://www.youtube.com/watch?v=25iq_p1FjVo
La mitica sigla dell'anime originale: indimenticabile