“L’impero del sogno”, tra draghi, complotti e potenografi
"L’impero del sogno" di Vanni Santoni è indubbiamente un romanzo molto interessante. A un primo livello, l’opera può essere collocata in un ambito fantasy, come del resto chiarisce già la bella copertina, ricchissima di rimandi che ritornano abbastanza puntualmente all’interno dell’opera, dal fantasy tradizionale al surrealismo, dai giochi di ruolo al videogame. L’autore, Vanni Santoni, ha la particolarità di aver alternato la scrittura di genere fantasy (con i due romanzi di “Terra Ignota”, nel 2013 e nel 2014) e una letteratura realistica tradizionale, dedicata al tema della precarietà, della provincia e delle controculture, da “Personaggi precari” (2004) a “Gli interessi in comune” e “Muro di casse”, dedicato quest’ultimo alla cultura del rave.
Una sintesi di questi due filoni, in un certo senso, si era avuta ne “La stanza profonda”, l’opera con cui l’autore è stato candidato nella cinquina dello Strega, che indagava il sottobosco dei giocatori di ruolo (e di cui dovremo prima o poi parlare). Se vogliamo, questo “L’impero del sogno” va in una direzione simmetrica: se là era un romanzo realistico che indagava con grande precisione sull’evasione nei mondi fantastici del rolegame, qui andiamo in un mondo fantastico che si incontra con un mondo reale descritto però con profondo verismo. Il protagonista, prigioniero nella sua vita nella forzata assenza generazionale di prospettive, si ritrova nei suoi sogni in un mondo fantastico dove varie fazioni si riuniscono per una contesa di enorme importanza, e in cui lui stesso si ritrova a ricoprire un ruolo cruciale. L’esordio del romanzo è segnato da un vero piacere per l’affabulazione fantastica, che ricorda un convegno per certi versi simile (nella radicale diversità delle scritture e delle due opere): quello che apre “La storia infinita” di Ende, dove i vari popoli convergono verso l’Infanta Imperatrice che deve ricevere un nome per rinascere (e anche questo tema avrà un possibile parallelo nella storia).
La cosa interessante che ci diverte qui segnalare è che un gruppo dei tanti che si affrontano nel dibattito è quello degli Inventigatori, inventori e detective dotati di fantastici meccanismi. Orbene, uno di questi è Celestino Galli di Carrù, esplicitamente citata (vedi p.62 del romanzo): l’inventore del Potenografo, un antenato della macchina da scrivere del 1830 noto ai monregalesi più colti come una curiosità – o, a pomparla un po’, una piccola gloria – locale. E il buon Galli avrà un suo ruolo – anche se di comparsa, e solo in questa prima parte – come solerte elaboratore di complessi e un po’ gratuiti meccanismi volti a risolvere situazioni di stallo tramite piccoli ingegni tecnologici. Tuttavia, stante il parallelo con la Storia Infinita avanzato poc’anzi, il riferimento al potenografo può avere il senso di una spia (come appunto alcuni echi di Ende) di una riflessione sulla scrittura qui e oggi, tra realismo e genere, impegno ed evasione, tradizione letteraria da un lato e nuovi generi e nuove forme (RPG, videogioco, ma anche fumetto...) dall’altro. Un libro, insomma, al tempo stesso coinvolgente e complesso, che presenta più livelli di lettura e si presta quindi a più esplorazioni del proprio mondo fantastico, quasi come un gioco al computer. O, almeno, un gioco al potenografo.