L’informazione alza la testa: The Post
Il giornalismo d’inchiesta non passa mai di moda: deve averlo notato anche Steven Spielberg, che a due anni di distanza dal fortunato e premiato “Il caso Spotlight”, presenta la sua variazione al tema “Guerra in Vietnam”, offrendo il suo contributo alla causa; utilizzando come mezzo di denuncia l’organo predisposto alla funzione di controllo per eccellenza, i mezzi d’informazione. Proprio di loro parla il film, e per raccontarli Spielberg sceglie le forma del dramma storico, con cui sembra avere grande dimestichezza, e che molta fortuna gli ha portato in passato: da “The Schindler’s list” e “Amistad”, fino a “Salvate il soldato Ryan”, per poi essere rispolverato di recente con “Lincoln” e “Il ponte delle spie”.
TRAMA
1966, l’analista militare Daniel Ellsberg si trova in Vietnam per seguire l’evoluzione del conflitto. Durante il viaggio di ritorno rivela al Segretario della Difesa Robert McNamara che la situazione bellica sembra assolutamente invariata nel corso dell’ultimo anno. Tuttavia McNamara annuncia ai giornalisti che il conflitto sta progredendo positivamente. Ellsberg colpito dalla menzogna decide di divulgare al New York Times i documenti top secret del governo sul conflitto in Vietnam. 1971: c’è agitazione nella redazione del The Washington Post, il capo redattore Ben Bradley capisce che il Times sta per pubblicare qualcosa di grosso, mentre il giornale è pronto per essere quotato in borsa, per questo la proprietaria Katharine Graham è messa costantemente sotto pressione dal consiglio di amministrazione dell’azienda.
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Le generazione di artisti cresciuti durante gli anni 60/70 non ha mai perdonato le persone e gli organi che acconsentirono alla prosecuzione del conflitto in Vietnam. Uuna lunga schiera di essi si sono apertamente schierati: Stanley Kubrik, Oliver Stone e Francis Ford Coppola hanno scritto pagine indelebili a riguardo. Ed è ora il turno di chi rispecchia maggiormente l’ideale di regista mainstream e d’autore. Spielberg si affida ai suoi collaboratori storici per quanto concerne il lato tecnico, mentre lascia a due mostri sacri dell’interpretazione quali Meryl Streep e Tom Hanks il compito di dare lustro ai due personaggi principali. Quest’ultimo in particolare è alla quinta collaborazione col regista. Tale dispiegamento di forze è giustificato dalla portata del tema affrontato, c’è in ballo la libertà d’informazione.
La verità a tutti i costi: quella che sembra essere una guerra tra quotidiani, diviene ben presto una battaglia cha accomuna tutta l’informazione per qualcosa di più alto. I giornali al servizio della gente e non al servizio del governo, con questo messaggio nemmeno troppo celato si muove la stampa per il mantenimento del proprio diritto, minacciato costantemente ma che dev’essere con tutte le forze difeso. The Post è nato per ricordarlo: sia per chi dell’informazione ne fa un mestiere, sia per chi cerca di manovrarla, ma anche per chi ne deve avere fiducia. Uno strumento che non può scendere a compromessi, anche a rischio dell’estinzione del singolo, a vantaggio della sopravvivenza del bene comunitario più importante, la libertà.
Le logiche che si muovono all’interno della vicenda portano ad un’inevitabile momento di scontro, in cui la scelta presa metterà in gioco e il destino del giornale e la propria coscienza. Fino a dove si possono spingere gli ideali? Fino a che punto si può mettere a rischio una azienda? Su questi interrogativi si snoda il rapporto di collaborazione e intesa tra caporedattore e proprietaria. Decisioni severe di chi ha una responsabilità quasi missionaria verso il suo lavoro, e chi è incaricato di garantire la prosecuzione genealogica dell’azienda di famiglia. Se le due posizioni paiono inscindibili, un compromesso non è possibile, la rinuncia di una delle due parti è necessaria per non restare al palo. E’ anche se avere può effetti distruttivi, un sacrificio dev’essere fatto, e se l’azzardo preso è quello giusto, si rivelerà estremamente fortunato.