Fabrizio: il mio quinto evangelista – Angelicamente Anarchici
Una storia con all’interno due protagonisti, uno visibile e suo malgrado in vista, Don Andrea Gallo, un’ altro invisibile, ma assolutamente presente, Fabrizio De Andrè. E poi c’è chi fa da sfondo ai due interpreti: Genova città vissuta e raccontata, presente come indissolubile legame. Proprio a lei è dedicato il primo segmento sonoro, quella Creuza de mä, emblema della canzone in lingua ligure della discografia di Fabrizio.
Quell’accento incollato al monologo di Don Andrea, mosso dalla voce di Michele Riondino. Pugliese e grande ammiratore di Don Gallo, per il cui omaggio si è sdoppiato nel ruolo di regista e interprete. Un impegno che arriva a seguito di un momento molto fortunato della sua carriera: dopo i riconoscimenti per i lavori cinematografici, e il successo come protagonista della serie il giovane Montalbano, è sugli schermi in questi giorni con “La mossa del cavallo”, sempre tratto dai romanzi di Camilleri.
Il palco è una dimensione quasi astratta, un limbo, che precede il paradiso o l’inferno. Già perché i dubbi Don Andrea li ha, una vita seguendo la parola di Dio e di Gesù, che per lui non sempre corrispondeva a quella delle alte cariche religiose, questa incongruenza di pensiero che gli ha regalato la nomea di prete anarchico. Se sei parte di un istituzione come la chiesa però, alle regole ci devi prestare attenzione. Bisogna dunque fermarsi per una riflessione introspettiva, ma nonostante si senta pienamente a posto con la sua coscienza, Don Andrea è comunque consapevole della sua posizione controversa. Questo non lo disturba, molto più pesante per lui essere solo, e non avere intorno la sua gente. Allora il pensiero non può che tornare a Fabrizio che quella gente la conosceva, la narrava ma non la giudicava. Quella gente che vive nei quartieri dove il sole del buon Dio non da i suoi raggi, dei bordelli e della gente ai margini, dove si seguono i passi di chi è arbitro in terra del bene o del male, o di chi saluta le prostitute alla stazione con gli occhi rossi e il cappello in mano. Il monologo diviene citazione quasi continua, e canzone, quale mezzo migliore per arrivare alla gente? Migliore anche delle omelie, è la canzone la nuova parabola, e Fabrizio il nuovo evangelizzatore.
La riflessione diviene onirica, e il dialogo mistico, con la sua ombra che proiettata sul telo bianco che divide la quinta, si muove, si deforma fino a disegnare una sagoma dai tratti vescovili, pronta a rimproverarlo. Ma le sue accuse giungono a noi incomprensibili, troppo distante il linguaggio della chiesa per il popolo, solo le giustificazioni sembrano avere senso. Questo distacco Don Andrea lo vuole colmare, usando perché no le parole del suo amico poeta, non credente ma affascinato da Gesù. La sua vita è per dottrina in mano ai quattro evangelisti, a loro la parte mistica, è necessario però raccontare il lato umano. Di questo se né occupa Fabrizio, che per distacco di fede può essere garante di lucidità, ecco così “Il testamento di Tito”, ecco la “Buona Novella”. L’esistenza terrena di Don Gallo è terminata, e il suo spirito è accompagnato e salutato da “Anime salve”, adesso lo aspetta il tribunale divino. A noi rimangono le immagini dal vero di Don Gallo di tutto quello che è stato, e il telo bianco e nero delle ombre inquisitorie diviene colorato di tutta le gente che Andrea ha tanto amato.
Chi conosce bene De Andrè troverà numerose citazioni, nei monologhi che anticipano le canzoni stesse o di altre non presenti, chi non ancora non si fosse avvicinato scoprirà l’immensa poetica del cantautore genovese. Uno spettacolo che vive soprattutto della sua funzione divulgativa, utile ad arricchire il bagaglio di conoscenza per chi non ha ancora avuto modo di esplorare i due personaggi, un prezioso omaggio e ricordo per chi già li conosceva.
Spettacolo interpretato e diretto da Michele Riondino
testi di Camilla Cuparo liberamente ispirati a “sopra ogni cosa” di Don Andrea Gallo e Vauro
INTERVISTA A MICHELE RIONDINO
«Angelicamente Anarchici è un omaggio a Don Andrea Gallo: nella mia idea dello spettacolo lo immagino come puro spirito, incastrato in una terra di mezzo, un limbo. Né all’inferno, né in paradiso, sta li e aspetta di capire che fine farà. Nell’attesa si racconterà, confrontandosi con i grandi temi che ha affrontato nella sua vita, in una sorta di monologo, in cui saranno ripercorse le pagine dei suoi testi e le canzoni di Fabrizio De Andrè».
Com’è nata l’idea di questo spettacolo?
«È nata dalla grande passione che ho sempre avuto per De Andrè e Don Gallo. In particolare quest’ultimo ha davvero influenzato molto la mia visione, ho riconosciuto me stesso nei suoi argomenti e nelle sue idee. Fabrizio e Don Andrea sono davvero stati due maestri per me e mi hanno aiutato a riflettere. Ripeto questo spettacolo vuole essere un genuino omaggio a loro. Don Gallo non l’ho mai incontrato e forse anche per questo ho voluto fare “Angelicamente Anarchici”: immergersi in questo testo, in questo spettacolo è un modo per approfondire ulteriormente la sua poetica, conoscerlo meglio, confrontandosi direttamente con lui».
Sono due personaggi molto amati e molto divulgati negli ultimi anni: come si fa a evitare di comporre un “Santino” laico e trasformare lo spettacolo in una didascalica agiografia?
«Mi sono posto questo problema: non solo, la mia preoccupazione, oltre a questa, era evitare di fare uno spettacolo troppo rigido, a “compartimenti stagni”. Volevo uno spettacolo musicale, che potesse partire dall’atmosfera della musica di De Andrè per poi allargare il campo dalla canzone ai temi affrontati nel testo, approfondendoli con le riflessioni di Don Gallo. La forma monologante, in parte, serve proprio a evitare l’effetto che dicevamo all’inizio: è un personaggio che racconta sé stesso, non interagisce con altri, e in qualche modo riflette sulla sua vita, sui temi che ha affrontato. In questo senso non può uscirne un’agiografia didascalica perché è una riflessione viva, sta esprimendo sé stesso e le proprie idee. Della drammaturgia dello spettacolo e dell’adattamento dei testi si è occupato Marco Andreoli».
Uno dei tuoi ultimi lavori televisivi è “La Mossa del Cavallo” tratto da un libro di Andrea Camilleri. Ti eri già cimentato con i suoi testi per “Il Giovane Montalbano”: cosa aggiunge al lavoro dell’attore potersi confrontare con l’autore del testo che si sta interpretando?
«Davvero tantissimo: c’è la possibilità di analizzare il personaggio e di andare oltre le pagine scritte. Con Andrea c’è un bellissimo rapporto e un confronto abbastanza puntuale: per lui è un invito a nozze perché ha modo di tornare sulle cose che aveva già scritto, approfondire ulteriormente ed esprimere nuove sfumature tramite la recitazione. Io cerco di coinvolgerlo ogni volta che posso».
Nella tua carriera hai affrontato tantissimi ruoli, tra cinema, teatro e televisione. Tra tutti, anche tra quelli più classici, qual è il ruolo che ti ha fatto crescere di più?
«Nella domanda è già contenuta la risposta: fare questo lavoro significa sviluppare un punto di vista critico ed avere la possibilità di lavorare su personaggi tanto diversi tra di loro, leggere, interpretare, approfondire le vite di tanti uomini. Il grande regalo che ci fa il teatro è proprio questa possibilità, quindi ogni personaggio è stato un passaggio importante».
Hai lavorato con tantissimi registi, anche grandi nomi del cinema d’autore, come Vicari, i fratelli Taviani, Martone, Bellocchio, Risi. Tra queste esperienze ce n’è qualcuna che ha più influenzato il tuo lavoro?
«Sono state tutte esperienze importanti e davvero molto formative: devo dire però che ricordo con particolare affetto i primi registi che mi hanno diretto. Hanno creduto in me e sono davvero molto grato per questo».