L’anticamera del Paradiso: La terra Buona
TRAMA
In cima al monte Paradiso una piccola comunità vive sotto l'ala protettiva di Padre Sergio, religioso disposto ad accogliere chiunque fugga dalla società. Nel silenzio e nella quiete dell'isolamento da tempo trovano rifugio Mastro e Rubio: due ricercatori, perseguitati per tutta l'Italia a causa delle loro cure alternative. L'equilibrio della comunità viene mutato, quando Martino: nipote di Padre Sergio, giunge all'eremo per accompagnare Gea, sua amica e malata terminale, ancorata alla estrema speranza che la cura dei due ricercatori possa esserle efficace.
Tre storie vere, che nella realtà non si sono mai incrociate, collimano in un luogo, il “monte Paradiso” sospeso come ultimo lembo terreno e prima appendice verso l’astratto e lo spirituale. La montagna luogo di riflessione per antonomasia, in cui distacco e atemporalità dominano, si presta alla perfezione ad ospitare religiosi eremiti, desiderosi di silenzio. Ma che non rifiutano mai ad aprire a chi bussa alla loro porta; anche se molto spesso a chiedere rifugio è chi fugge dalla società, o chi ha qualcosa di grave da lasciarsi alle spalle. Disposto comunque ai sacrifici che l'isolamento può portare piuttosto di poter ricominciare. Quelle rinunce a cui è sottoposto Martino, capitato alle pendici del monte suo malgrado. La sua è una personalità infastidita e arrogante, ma predestinata a divenire un emblema involontario di una logica più elevata. A portarlo sul monte è il suo vincolo di parentela con Padre Sergio, e la necessità morale di aiutare l’amica Gea, malata terminale in cerca di un miracolo. Martino è l’unico gancio possibile per arrivare a padre Sergio, salito al monte con la volontà di creare una comunità di illuminati in un oasi di pace e serenità, ma in realtà costretto ad accontentarsi di farabutti e fuggitivi. Ma la mente illuminata al monte ci arrivata lo stesso, e si nasconde dietro il volto dell’arrabbiato e spontaneo Rubio, biologo, la cui sconfinata genialità viaggia di pari passo con la sua rudezza e scontrosità. Frutto di una continuo e amaro fuggire insieme al ricercatore Mastro: guru di una cura alternativa per il cancro. Incolpato, segnato, ma onesto medico, in possesso di una terapia spirituale realmente funzionante. L’ultimo barlume di speranza a cui a Gea si affida completamente. La comunità si completa con Gianmaria, ponte tra il mondo sospeso di padre Sergio e resto della civiltà a valle.
Ma tra i personaggi le storie sono tese, il loro passato incombe. Figure impregnate di umani difetti, ed esponenti inconsapevoli di qualcosa di più grande, si muovono come figure allegoriche incostanti. Il cambiamento richiede attriti e contrasti, fino a giungere alla consapevolezza del proprio ruolo. Caricandosi così ognuno di un proprio significato simbolico. Cominciando da Gea, il cui nome deriva dall’antichissima progenitrice della terra nella mitologia antica, ad essa il personaggio si lega, utilizzando la sua malattia come metafora della sofferenza del mondo. Ma il suo male fisico è irrecuperabile, la salvezza della terra deve passare da un recupero spirituale. Si percepisce quindi che la vera persona in cura è Martino, la sua rigenerazione dell’anima lo trascende nel doppio ruolo di angelo custode di Gea e simbolo di una cambiamento universale. Nato da una terra che è beneficio e rinascita anche per Rubio e Mastro.
Si è già intuito col titolo dal precedente film “E fu sera e fu mattina”, citazione dal primo libro della Genesi, che Caruso tragga molto dall’ispirazione Biblica. Favorito dalle scenografie naturali della Val grande e Val Maira, ambienta la vicenda sul monte Paradiso. Luogo usato come preludio alla serenità eterna, ma che è soprattutto un Paradiso applicato alla vita terrena. Un elisir di saggezza dove Padre Sergio ha creato la sua vera incredibile biblioteca, e in cui il regista ha inserito le storie reali dei due ricercatori e della ragazza malata. Caruso regala al suo film una doppia veste laica e spirituale. Capace di rendere la realtà poetica, sfumandola in fiaba e quasi in parabola, senza però renderla irreale. Per come lo si vuole leggere il film può avere diversi significati, e sicuramente tocca le corde di ognuno. Tutto sembra ruotare attorno a Gea, ma ogni personaggio dispone di un proprio centro di gravità, ognuno cerca qualcosa, e questo permette alla pellicola di essere costantemente dinamica, mantenendo ugualmente un ritmo meditativo. Una regia che non disdegna contaminazioni, che dimostra la sua versatilità, su tutte le sequenze dalle sfumature tipicamente western che introducono Gianmaria. Struggente poi il frammento poetico di Gea dedicato al padre. Dove i versi si trasmutano in una preghiera di perdono recitata a occhi lucidi, dal sapore di commiato; snodo cruciale del film, e passaggio di consegne all’interno della storia.