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Culture Club anni ’50: la questione dei comics. Il Vitt contro i fumetti del Male.

Che visione emerge dei fumetti nell'Unione degli anni '50? Una carrellata negli archivi del giornale, tra timide aperture e stroncature sopra le righe.

Lorenzo Barberis

Da ormai un paio d'anni il Culture Club 51 dell'Unione è uno spazio dove si affronta in modo sistematico, oltre alla musica, al cinema, alla letteratura e all'arte anche il fumetto, un medium ormai - in linea di massima - pienamente accreditato come dotato di pari dignità rispetto alle altre forme espressive. Ma è sempre stato così, su queste pagine? E quando precisamente si è iniziato a parlare di fumetto?

Salvo smentite, il termine appare prima volta sul numero del 04/11/1950 riportando un pezzo di Sergio Selmi. L'inizio del rapporto non è dei migliori: l'articolo si intitola
Processo ai "fumetti": la parola è tra virgolette, segno sia di disprezzo che di relativa novità del termine. Le stesse nuvolette erano apparse molto di recente in Italia: solo dal 1934 apparivano sistematicamente sui fumetti avventurosi, per ragazzi, mentre quelli per bambini vedevano ancora, nel dopoguerra, l'uso di didascalie in rima baciata.

L'articolo evidenzia come il caso dei fumetti sia discusso in Palazzo di Giustizia a Milano, con la consulenza di Maria Montessori stessa, e tra i cattolici Padre Agostino Gemelli, messo sul banco degli imputati da un convegno tra il pedagogico e il giuridico per stabilire i suoi effetti sulla mente dei giovani. Il fumetto ne è emerso "assolto per insufficienza di prove" sulla sua dannosità, con irritazione dell'articolista.

La mostra che accompagnava il convegno, mostrando le varie scuole fumettistiche, faceva comunque emergere l'impressione, "forse non del
tutto giusta" di una superiorità del genio italico, stando allo stesso estensore. In verità, questo appare ragionevole nei confronti di quasi tutte le tradizioni, con l'eccezione del fumetto anglo-americano e, in parte, del fumetto francese (varrebbe anche nei confronti del fumetto nipponico, allora però sconosciuto in occidente).
Si parla del "garbo" del Corriere dei Piccoli, ma ovviamente si sottolinea soprattutto la riuscita dello stand delle produzioni dell'Azione Cattolica Italiana. Sarà questa una costante, negli anni '50, del rapporto tra l'Unione e i Comics: gli articoli appaiono prevalentemente composti da educatori conservatori, ostili nei confronti del fumetto, ma che sono costretti a concedere una certa indulgenza ai personaggi di carta che giocano nella loro stessa squadra.

Il 15/12/1951 un nuovo articolo sui fumetti è addirittura in prima pagina. Si intitola "I fumetti e la libertà" e sottolinea come, giunta la questione alla discussione parlamentare, abbia visto concordi comunisti e liberali nel sottolineare il problema morale (dei DC è scontato); ma come essi poi siano restii a fornire strumenti per bloccare i "periodici corruttori" (si parla di Pantera Bionda e "Pecos Bill", esplicitamente citati), ovviamente nel timore di fornire strumenti limitativi della libertà di stampa. L'anonimo articolista rassicura: limitando solo la stampa per ragazzi, la fiaccola della libertà "non perde una favilla del suo fuoco".

Appare evidente, tra le righe, come la "questione morale" dei fumetti sia utilizzata per favorire una supremazia della stampa cattolica non solo su quella ammantata di lievi elementi erotici, ma anche su western che oggi ci parrebbero prodotti assolutamente ordinari e rassicuranti.

Curioso notare che, invece di Tex Willer (1948) di G.L.Bonelli e Aurelio Galeppini si parli (anche in articoli successivi) di Pecos Bill, personaggio immaginario del 1917 divenuto un fumetto americano nel 1929, con l'inizio dell'età del fumetto avventuroso (avviatasi nel 1928). Qui si parla probabilmente della versione italiana, realizzata dal 1949 da Guido Martina, decano anche degli sceneggiatori della Disney italiana. In effetti l'età dell'oro di Tex deve ancora giungere, e tra la miriade di western prevale per qualità e diffusione, probabilmente, quest'opera minore dell'insuperato maestro della Divina Commedia topolinesca e altri capolavori.

Più logico invece che si contesti la - pur blanda, per i nostri criteri - Pantera bionda, apparsa nel 1948. Tarzan (1912) è uno dei primi eroi avventurosi a divenire un fumetto, nel 1928, ispirando numerosi imitatori (Jungle Jim di Alex Raymond nel 1934, e The Phantom nel 1936, personaggio di mediazione tra il "tarzanide" e l'eroe mascherato, il grande genere del fumetto USA da Superman - 1938 - in poi). Nel 1937 Will Eisner, uno dei massimi maestri del fumetto mondiale, creò Sheena, la prima eroina della giungla con una sua testata (altre amazzoni erano apparse nei fumetti dei vari Tarzan preesistenti, come comprimarie). Indubbia una sottile componente erotica, molto trattenuta, nelle avventure di queste eroine, cosa che nell'Italia dell'epoca porterà a censurare, alla fine, questo personaggio, fino a portarlo alla chiusura dopo ripetuti processi. 

Gli articoli che trattano estensivamente del fumetto paiono scaglionati uno all'anno: si trovano infatti menzioni sporadiche, ma un'analisi sistematica arriva raramente e, sembrerebbe di capire, riproponendo articoli "esterni", fatti giungere alle varie riviste cattoliche dalla rete generale della "buona stampa". Il Nel 27/12/1952 quindi un nuovo pezzo propone la pars costruens: "Un giornale che risolve il problema della stampa per ragazzi". Si sottace che è fallita la linea precedente, ovvero una censura giuridica, e quindi si demanda alla scelta del genitore la rivista più idonea (e il divieto delle altre).

Si condanna di nuovo Pantera Bionda per il nudismo femminile e maschile; Dick Fulmine per la violenza gratuita, la prepotenza dei fumetti dell'Intrepido, i super-uomini turbano la fantasia con situazioni impossibili (Mandrache e Gordon), situazioni comiche assurde e surreali (non è citato, ma mi pare si faccia riferimento al miglior Disney italiano del periodo). Il tutto con "disegni orribili" e "testi sciatti". Tuttavia pare anche poco aggiornato l'estensore dell'articolo, in quanto la Bonelli è presente ancora con Fulmine, del '38, invece che con Tex, e anche Mandrache (scritto ancora con la grafia imposta dal fascismo) e Flash Gordon datano al 1934, ed erano già diffusi nell'Italia fascista. Pure l'Intrepido è del '35, ma nel secondo dopoguerra aveva visto una nuova fioritura come rivista "laica" del fumetto avventuroso.

Parlando - senza nominarne alcuno - dei supereroi si sostiene l'idea di un superomismo di tipo fascista: tutto quel che fa il superuomo è bene, "fossero pure i più gravi delitti". Un'idea che deriva da una scarsa conoscenza del medium, in quanto il supereroe americano ha di solito un codice morale rigoroso (maggiore indulgenza a una violenza goliardica vi è in effetti in Dick Fulmine o Tex: ma Superman - o anche il più cupo Batman - deve avere un comportamento puritano irreprensibile).

Sorprende che, passando alla pars costruens, si riconosca che il fumetto può avere una "giustificazione artistica" (e non solo una dignità educativa e pedagogica) che ovviamente si ritiene trovarsi solo nel Vittorioso rivista e gli Albi del Vitt. Gli altri "giornali offendono spesso nei piccoli il senso di Dio", dice l'anonimo estensore  (E.B.) con una certa esagerazione.

Da un lato, la qualità del Vittorioso è indubbia: ma negare l'alta qualità almeno tecnica alla Disney italiana di Martina e soci (per tacere degli originali americani, da Gottfriedson a Barks...) o della Bonelli con disegnatori come Galeppini è oggettivamente faziosa. Forse nn si parla di Topolino e Tex proprio per non citare dei modelli che appunto possono tenere testa alla - altissima - qualità del Vittorioso degli anni '50, che in effetti vanta, oltre agli altri, un Jacovitti nel massimo stato di grazia come "frontman" della rivista.

Il 02/10/1954 si riferisce del processo a New York dei "fumetti del crimine e dell'orrore", quello alimentato dal libro di Wertham dello stesso anno (qui non citato), e che porterà all'autoregolamentazione del rigidissimo "Comics Code".

"Ragazzi e... fumetti: Un grave problema morale" di Claudio Bucciarelli (11/09/1954), sulla base di quella notizia che rinfocola la polemica, torna alla carica sulla questione. Bucciarelli, sacerdote, classe 1928 (allora, quindi, giovanissimo) è tra i mentori dell'Editrice Ave, uno dei baluardi della buona stampa cattolica.

"Troppi educatori indifferenti al problema", spiega, dando anche alcune indicazioni sulla dimensione del fenomeno: 34 giornalini e 120 albi, 6 milioni di copie totali a settimana, 300 milioni di copie all'anno. Tutto "veleno in carta fumettata": se si raccogliessero i casi di delitti ispirati ai fumetti emergerebbe "un'opera di parecchi volumi". Torna qui l'argomentazione avanzata - con notevoli falsificazioni culturali - da Wertham; il quale, perlomeno, si peritava di avanzare dei casi. Naturalmente anche la correlazione werthamiana era fallace, in quanto il fatto che i giovani delinquenti minorili leggessero fumetti non costituiva in alcun modo una causa provata (le stesse letture erano condivise dai più tranquilli fanciulli borghesi).

Anche l'ironia sui genitori che credono che i figli siano intelligenti perché leggono fumetti, quando invece disabituano solo alla lettura, è un tema tipico di Wertham nel suo "La seduzione degli innocenti". Il fumetto pensa per "questi ragazzi dal cervello di carta fumettata", sostiene Bucciarelli:  "irrealtà, violenze, crudeltà, volgarità, deformazioni morali",  cronaca nera e sensualità, oltre a un  "versario fumettistico" fatto da muggiti, ululati e "raffinatezze pittoriche", che impoverirebbero il linguaggio.

Di nuovo, segue la pars costruens: "La soluzione non viene dalla polizia" (quella strada, tra l'altro, è stata tentata e, in Italia, è fallita: la legge censoria non era passata): "Non è sufficiente proibire", bisogna instradare alla buona stampa. Sono presentati come accettabili "il Corrierino", "il Giornalino" e "Il Vittorioso", di cui si citano ampiamente le parole del direttore, il Dottor Volpi, che insiste: "i ragazzi sono in pericolo". Curioso come, alla difesa del Vittorioso, rivolto ai ragazzi, non corrisponda una analoga difesa del Giornalino, nato nel 1924 tra l'altro proprio ad Alba, ad opera dei Paolini di Don Alberione, per contrastare il Corriere dei Piccoli della stampa laica e liberale, e il Balilla (1923) fascista, ormai chiuso. Anzi, il "Corrierino" è presentato come accettabile, mentre si continua a non parlare del "Topolino" disneyano, molto diffuso e concorrente temibile anche per il Vitt jacovittesco.

Il 10/12/1955, con "30 lire di cuori infranti" ci si occupa dei fumetti "al femminile", i cineromanzi o, se fotografici, i "fotoromanzi" di Grand Hotel, rivista sorta nel 1946 e sempre più diffusa su un pubblico giovanile di ragazze. I tipi di trama sono ben esplicitati: c'è sempre la versione moderna di Cenerentola, oppure la donna che, benché senza di lei colpa, è contesa da due uomini per un caso fortuito (i1l marito "creduto morto in guerra").

Buona, anche se melodrammatica, la definizione di "Bovary a fumetti del 1955" (che tra le righe implica un finale suicidio delle fanciulle ossessionate dai fumetti amorosi).

Articoli successivi tornano sui fumetti "maschili", cercando di dimostrare quella relazione tra fumetto e crimine che, in verità, appare abbastanza risibile. In "Strade e rivoltelle" si dà la colpa di fatti di armi ai fumetti (4/8/1956). Negli stessi anni, invece, i fumetti venivano difesi da Giovannino Guareschi con veemenza: autore lui stesso di fumetti, evidenziava come anche nel "più stupidissimo dei fumetti" il buono vince e il cattivo viene sconfitto: mentre i giovini criminali, a suo avviso, sono stimolati al crimine dalla percezione di impunità assicurata a chi compie violenza sotto il giusto ombrello politico "comunista". Ognuno ha le sue fissazioni, ma quella di Guareschi era al limite più credibile.

Come già prima, non solo il fumetto "violento" (di solito western) è condannato, ma anche il "modernissimo fenomeno dei fumetti" con "storie incredibili di marziani" fermati da "uomini mascherati": fantasticherie pericolose che separano dalla realtà (21/4/1956), con probabile riferimento al fumetto supereroico.

Anche il 05/01/1957 abbiamo un "Grido d'allarme ai Genitori" sulla stampa per ragazzi: si citano presunti fatti di cronaca ners legati ai fumetti: "tortura la sorellina di cinque anni per imitare gli eroi dei fumetti", ma poi questi eroi che vengono citati sono Topolino (citato per la prima volta), Pecos Bill, Mandrake, i "rosa" Grand Hotel, Bolero e il peggio di tutti, "Capitan Salvagente".

In nessuno di essi appare un eroe negativo, come apparirà poi in Diabolik nel 1961. Si condanna anche "la riduzione del Cid Campeador." che falsa il capolavoro letterario (altra polemica di Wertham, ostile agli adattamenti letterari realizzati per "nobilitare" il fumetto).

Sul genere definito "Avventura - film" si citano, oltre al suddetto minore Capitan Salvagente,  Capitan Mistero, Fulmine, Pecos Bill e Uomo Mascherato: tutti eroi del periodo, in cui notiamo - forse è un caso - un certo riferimento al tema, se non supereroico, dell'eroe mascherato (l'Uomo Mascherato è l'adattamento italiano di Panthom). 

Si evidenzia inoltre come in tali fumetti la donna non è la gentile e mite sposa ma appare come "una specie di amazzone senz'anima e senza pietà". In effetti nel fumetto avventuroso, se la donna appare, è più spesso personaggio attivo che pura e semplice "damsell in distress" (un esempio su tutti, la Lois Lane di Superman, certo spesso rapita dagli antagonisti del kriptoniano, ma sempre combattiva). Ancora più attive, ovviamente, le eroine e supereroine di vario tipo, un modello femminile che noi troviamo oggi meritorio nel fumetto, che ha sdoganato figure femminili magari eroticizzate (e qui arriveranno poi le contestazioni femministe) ma indubbiamente forti e vincenti, da Wonder Woman (1942) in giù.

Accettabili sono i giornali per bambini, Corrierino, Vispa Teresa, Lo Scolaro, il Giornalino, e sopra tutti il Vittorioso, col suo Capitan Valter: fumetto effettivamente esistente all'epoca, benché minore, che cercava di contrastare la moda - mai realmente attecchita - degli uomini mascherati.

Il 12/07/1958 similmente si parla di "Fughe di studenti bocciati" "tutti influenzati dai fumetti", sempre alla ricerca di comportamenti "devianti" ispirati dai comics. In questo caso non si coglie esattamente dove sia l'influenza nella fuga: forse l'articolista vuol dire che perdono tempo a leggere fumetti invece di studiare, da cui la bocciatura.

Ma su L'Unione Monregalese del 03/01/1959 si mostra una svolta parziale nel dibattito in corso in un articolo di "Pum".

"Coi fumetti come metterla?" è l'articolo, che riferisce - con molto scetticismo - della "educazione nuova", per la libertà (o licenza) del fanciullo, riconoscendo però obtorto collo che "ha anche le sue ragioni positive" nel difendere il fumetto: "l'interesse vivo" che suscita nel fanciullo e lo fa appassionare
alla vicenda rappresentata, divenendo così un buon modo per veicolare contenuti storici o culturali.

Ovviamente i detrattori sostengono che il fumetto "deturpa" i capolavori della letteratura, ma "in tutte le polemiche vi sono esagerazioni da ambo le parti",
e i "disegnatori italiani" sono "apprezzati in tutto il mondo" e sono nettamente migliori di quelli stranieri, con sciovinismo.

Si elogiano soprattutto "gli sforzi dell'editoria cattolica", premiata dai ragazzi, "i più competenti in materia": infatti
nel 1958, premiando il principale eroi per ragazzi, aveva vinto "Procopio" di Lino Landolfi del Vittorioso "del dottor Volpi".

Fumetto interessante, da riscoprire anche oggi come prima tappa di un autore che avrebbe raggiunto in seguito una maturità grafica di primo piano sul Giornalino dei Paolini degli anni '80 (le avventure di Padre Brown sono forse il capolavoro grafico dell'autore), ma oggettivamente la sua vittoria su "Paperino" deriva probabilmente più dalla maggiore organizzazione cattolica che non da una superiorità indiscussa, mentre la vittoria sul "trito e ritrito" Cuore (poco amato in area cattolica per il suo laicismo) deriva probabilmente dalla sua arretratezza.

Tuttavia, l'articolo segna un cambio di passo netto nei confronti del fumetto, non più demonizzato ma guardato, seppur ancora con qualche dubbio, come una legittima forma espressiva.
Insomma, la posizione del Culture Club anni '50 sul fumetto è - come forse inevitabile - con luci ed ombre: se ne tratta, sporadicamente, ma con un tono prevalente di condanna ed espressioni spesso francamente eccessive. Tuttavia, la presenza di una tradizione di alto livello sia artistico che pedagogico in area cattolica come il Vittorioso fa sì che non ci si appiattisca sulla pura condanna, e si tolleri (si intuisce, un po' controvoglia) questa singola eccezione.

Vedremo magari in qualche prossima puntat come si è evoluta la concezione negli anni '60: quelli che vedranno davvero, da Diabolik in giù, il trionfo  dei "fumetti neri" tanto temuti.


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