Elizabeth Aro: scolpire con ago e filo
Scolpire è essenzialmente domare materiale. Scavare per estrarre la forma, modellare per piegarlo al proprio progetto, lavorare per far emergere la figura. Lo si può fare con il legno, con la pietra, con il metallo, con le resine sintetiche, con sostanze industriali. Lo si può fare potenzialmente con qualsiasi cosa: stupisce però, parlare di una scultura di tessuto. Al tessuto si associa molto più facilmente l’arte figurativa, il disegno, l’arazzo. Una scelta insolita, eppure perfettamente plausibile quella di Elizabeth Aro, che sceglie di lavorare sul filo come materiale e non come supporto. L’artista, di origine argentina, ha nel suo curriculum una lunga serie di esposizioni in ambito internazionale. Il suo percorso l’ha portata da Buenos Aires in Spagna e infine in Italia: è una donna in cui convivono culture diverse, che la portano ad una continua oscillazione tra queste. Nel percorso espositivo “Le fil du monde. Migrazioni e identità nell’opera di Elizabeth Aro" curato da Elena Inchingolo e Paola Stroppiana, questo concetto è centrale: il percorso espositivo lo richiama continuamente, ad esempio nell’opera “Ulivi” in cui compaiono due alberi a grandezza naturale, in broccato di cotone e velluto, bianco e nero. Due opposti a confronto. Sofferenza ed energia sono protagoniste dell’opera “Santa Sangre” che richiama al martirio. In “Mundo”, un globo di tre metri di diametro realizzato in feltro bianco naturale, la Aro riassume il sogno di un pianeta accogliente, casa di tutti. I continenti scivolano lentamente verso il sud del mondo, il luogo generalmente considerato più povero, ma soprattutto più altro, difficile da comprendere e raggiungere. È un mondo in continuo cambiamento, con nuovi tracciati creati da flussi migratori e geografie in continuo cambiamento.
La mostra comprende anche un ciclo di fotografie, che raffigurano persone di paesi diversi, con le loro gestualità, i loro tratti, la loro umanità. Le sale della mostra ospitano diverse suggestive installazioni, come “Red Net”, in cui lunghe corde di velluto rosso pendono dal soffitto, intrecciate in una rete, che racconta la rete che costituisce la nostra confort zone, un intreccio di legami linguistici, familiari, d’amicizia. Una rete che spesso si ha paura ad allargare o a tendere in altre direzioni.
In “Ala di seta” una grande ala bianca di seta è appoggiata su una tavola di legno, mentre “All fires the fire” rappresenta una cascata di fiammelle, che richiamano alla fioritura della vita della passione e del movimento.
Il “libro dell’architetto” è un volume di tessuto, con fogli su cui è ricamata la pianta di una casa. L’arte del tessere, attività lenta e paziente, è un buon mezzo per esprimere il progetto di una casa, dell’immaginare e costruire il luogo in cui si vuole vivere. Infine, un “filo spinato” racconta l’oppressione, e lo fa con il velluto, il materiale che meno di tutti richiama questo concetto. La creazione di un filo spinato di velluto, morbido e avvolgente, è uno dei simboli più forti dell’intera esposizione, un ossimoro carico di significati, che riassume il senso di tutta la ricerca di Elizabeth Aru.
La mostra rientra nelle azioni del progetto europeo di cooperazione transfrontaliera MigrACTION, che si propone di valorizzare l’itinerario che unisce le valli Stura e Ubaye, un tempo percorso dai valligiani piemontesi che emigravano verso la Francia. Il Filatoio di Caraglio ne è uno dei luoghi simbolici e significativi per il valore storico e della memoria e per il ruolo di propulsore della cultura contemporanea nell’area alpina tra basso Piemonte e Alta Provenza.
La mostra è promossa dalla Fondazione Filatoio Rosso in collaborazione con il Comune di Caraglio e Fondazione Artea e realizzata con il contributo dell’Unione Europea – Programma Interreg V-A Italia-Francia ALCOTRA 2014-2020 e si avvale del patrocinio del Museo Regionale dell’Emigrazione dei Piemontesi nel mondo.
Le attività del Filatoio sono realizzate con il sostegno della Compagnia di San Paolo ed in collaborazione con il Comune di Caraglio e la Fondazione Artea.
In contemporanea a "Le fil du monde. Migrazioni e identità nell’opera di Elizabeth Aro", il Filatoio di Caraglio ospita la mostra "MigrACTION attraverso l'occhio dei bambini", frutto del lavoro degli alunni delle classi quinte dell'Istituto Comprensivo Riberi di Caraglio. L'obiettivo del laboratorio, condotto e ideato dal regista Beppe Rosso e dallo scenografo Lucio Diana della compagnia torinese ACTI Teatri Indipendenti, è stato di ascoltare e dar la voce alle nuove generazioni sui fenomeni migratori del passato e del presente che hanno coinvolto la comunità di Caraglio.
La mostra presenta due videoinstallazioni che ripropongono, idealmente, uno sguardo sulle migrazioni da parte dei bambini. La prima, in una dimensione più evocativa ed immersiva, regala suggestioni sonore legate alla migrazione: parole, suoni, rumori, canti emergono da un cerchio di sale, materiale scelto come emblema delle strade percorse da viandanti, persone che migravano in cerca di una vita migliore. La seconda, invece, è un muro “parlante” che si popola di occhi, volti, bocche, mani e dà voce alla visione dei bambini sui temi della migrazione di ieri e di oggi.
La mostra prosegue all'esterno, dove nel secondo cortile del Filatoio Rosso sono allestiti 24 stendardi con i volti dei bambini che hanno partecipato al progetto.