Il Novecento muore a Sarajevo
“Nel cuore dei Balcani al tramondo del Secolo Breve. Viaggio tra guerra e pace, tra Oriente ed Occidente.”
Con questo titolo che guarda a Eric Hobsbawm (non a caso: il grande storico del Novecento spiegava come il suo Secolo Breve iniziava e finiva nei Balcani, dall'assassinio di Sarajevo alla disgregazione della Jugoslavia, 1914-1999) la Sezione di Mondovì dell' ANPI e la Delegazione di Cuneo dell'AICC, in collaborazione con l'Istituto Storico della Resistenza e della Società Contemporanea di Cuneo e con altre Associazioni Culturali (Gli Spigolatori, il Centro Studi Monregalesi) e col Liceo Vasco-Beccaria-Govone di Mondovì, ha organizzato giovedì 15 novembre 2018 (ore 14.30-17.30) un pomeriggio di studi intenso e interessante.
Dopo l'introduzione del prof. Stefano Casarino dell'AICC, organizzatore dell'evento, ha preso la parola lo storico cuneese Gigi Garelli, in un intervento dal titolo "Come ti costruisco il nemico", che ha analizzato il disgregarsi della confederazione (un legame più blando della federazione, come ha illustrato) dopo la morte di Tito, fino agli incubi di un sanguinoso conflitto nel cuore della civiltà europea, tra Srebenica e altri orrori. La scomparsa di Tito nel 1980 tolse infatti un forte collante allo stato, insieme al venir meno della sua funzione di delicato cuscinetto tra Est sovietico e Ovest capitalista (la Jugoslavia di Tito, è da ricordare, benché comunista era uno dei paesi leader dei "non allineati").
Tuttavia, l'elemento più interessante, ben spiegato dal prof. Garelli, è stato il fatto che non vi fosse in realtà una tensione "etnica" (termine messo in discussione dal relatore) così forte come si è soliti pensare. I matrimoni misti tra i vari gruppi superavano il 40%, e la maggior parte dei parametri sociologici indicano un uguale mélange consolidato dopo una lunga storia di relativa unità (regno dal 1929, repubblica socialista dal 1945).
Il piano di Milosevich inizia, relativamente in sordina, già nel 1986, prima del crollo del Muro che produsse un complesso effetto domino in tutto il mondo: di fronte a tensioni ancora minori in Kosovo, dove effettivamente vi era una convivenza difficile, egli iniziò a proporre di revocare l'autonomia alla regione, e quindi dichiarò "Siamo ancora in battaglia" nell'anniversario della battaglia di Kosovo Polje (1389), data identitaria del nazionalismo serbo (data di una sconfitta da vendicare, non di una vittoria: elemento significativo nella costruzione di questo aspro revanscismo).
Ritorna così il mito di una Grande Serbia, "Serbia è dove c'è un serbo. Vivo o sepolto": un crescente desiderio di rivalsa che porta al disgregarsi della Lega Comunista nel 1990 (luogo di composizione delle altre divergenze in nome della comune ideologia politica), con l'uscita di Slovenia e Croazia, che nel 1991 si dichiarano indipendenti, seguite nel 1992 dalla Bosnia. Si apre così un conflitto terribile, di cui si sono ripercorse in sintesi le tappe: ma è questo l'elemento relativamente più noto, mentre è importante cogliere come si giunga alla costruzione di un nemico implacabile (prima inesistente) per portare a questo. "Prima si bruciano i libri, poi si bruciano gli uomini", dichiarava un filosofo come Heinrich Heine, una tragica affermazione che ha spesso confermato la sua verità.
L'intervento di Marco Travaglini, giornalista che ha dedicato molti volumi all'argomento, si è rivelato parimenti ricco di suggestioni. Intitolato "Bosnia, l'Europa di mezzo. Un viaggio tra guerra e pace, tra Oriente e Occidente", ha confermato la mistificazione di una guerra "etnica" (sono tutti slavi) e l'irrilevanza dell'elemento religioso: l'Islam iugoslavo, prima del conflitto, era ormai laico e pacificato, e l'Europa ha perso così l'enorme opportunità di un preziosissimo "ponte" in grado di arginare la china delle (opposte) radicalizzazioni, difficile da arrestare una volta intrapresa. Nei Balcani, purtroppo, "Si produce più storia di quanto si possa consumare", osservava Churchill, che ben conosceva il valore esplosivo di quella "polveriera d'Europa". Il Novecento di Hobsbawm, come detto, inizia e finisce a Sarajevo, "centro del mondo" o almeno di quella civiltà europea che a vette altissime alterna, purtroppo, abissi d'orrore. L'inizio è noto: l'attentato all'arciduca austriaco Francesco Ferdinando d'Asburgo-Este da parte di Gavrilo Princip (che oggi molti ahimé venerano come eroe nazionalista). La sua conclusione è appunto l'assedio di Sarajevo, ancor più lungo di quello - estenuante per antonomasia - di Leningrado, con i suoi oltri mille giorni davanti a un'Europa in pace, ma incapace di agire.
Interessante anche il rimando alla valenza simbolica del 28 giugno, la festa di San Vito: la Serbia in quella data - con il principe Lazar, che si immola - si sacrifica contro l'impero Ottomano (un ruolo che vorrebbe riconosciuto, di campionessa dell'Occidente cristiano); data che torna nell'attentato di Sarajevo del 1914 che avvia la guerra, nella Pace di Parigi che, nel 1919, la conclude sotto il profilo diplomatico; e nella costituzione del 1921 con cui Alessandro I avvia la costituzione di un regno unitario, la rottura definitiva con Mosca nel 1948, e numerosi altri eventi, dimostrazione di un uso politico della storia che costituisce la base delle narrazioni nazionaliste, quasi sempre pregne di un senso di "destini fatali" della nazione (vedi qui
per altri riferimenti).
L'iniziativa, rivolta agli studenti e ai docenti e alla cittadinanza tutta, è stata quindi una preziosa occasione per una conoscenza critica ed articolata non di una pagina della recente storia europea spesso poco nota e non sempre trattata nei programmi scolastici come meriterebbe, nell'ampio capitolo della Guerra Fredda che tale terribile evento (con altri) conclude. Un incontro, dunque, che rientra a pieno titolo nel programma di divulgazione culturale che le suddette Associazioni offrono alla Città e che speriamo possano proseguire in futuro.
(In copertina, vignetta del 1908 sull'avvio della Crisi Balcanica: di terribile efficacia ancora 110 anni dopo).