Goodbye Mister Novecento
Pochi autori hanno saputo raccontare il XX secolo come il regista emiliano, srotolandolo come un lenzuolo, e riempiendolo di tutto quello che ne è stato il cuore: politica e libertà sessuale, contestazione e meditazione, attraverso due conflitti mondiali e il colonialismo in disarmo. Un oriente che esce dal suo guscio e bussa al vecchio continente attraverso le rivoluzioni culturali e le dottrine buddhiste. L’Europa del tradizionale Tè, poeticamente esportato nel deserto, abbraccia il tango argentino, miccia pronta ad innescare la fiamma dell’Eros di “Ultimo tango a Parigi”. Fu scandalo, e la pellicola condannata al rogo. Una sorta di scomunica per un cineasta, ma la rivoluzione nel cinema era già avviata. La rivoluzione, che associa la Parigi del maggio francese di “The Believer” e la Cina del “L’Ultimo Imperatore”, vertice massimo della carriera, ed estremo saluto al kolossal e all’epica made in Italy ormai al tramonto; esaltato dalla pioggia di apprezzamenti e dall’oscar, unico per un italiano, alla miglior regia. “Ultimo”, termine curiosamente presente nelle sue pellicole più note, a dimostrazione di un tratto nostalgico, consapevole del mutamento che contraddistingue un secolo sradicato dalle sue tradizioni, che abbandona il terreno di casa per abbracciare culture lontane e sconosciute. Con buona pace di Kurosawa e co, possiamo affermare che il cinema orientale è arrivato a noi tramite lui, il suo “L’ultimo imperatore” ha spalancato le porte a quella parte di mondo per troppo lasciata oltre l’uscio, che scalpitava con una corrente di opere pronte a sorprendere critica e appassionati. Bertolucci ha creato un cinema tanto influente da divenire minaccia morale, riqualificandosi autonomamente senza intaccare la sua arte, alimentata da convinzioni inestinguibili, esternate senza conformismi, liberate al grido collettivo o racchiuse nel pensiero interiorizzato. Dagli immensi campi larghi agli ambienti intimi: la storia vista dagli occhi dei suoi interpreti, indistintamente che possano trattarsi dei lavoratori del “Quarto stato” o gli imperatori della “Città proibita”. Soggetti inseriti nella poetica delle immagini, assaporate tramite quel cinema che grazie a Bertolucci si è elevato ad arte.