Una voce per il “Pueblo”
L’occhio del guardone, indiscreto per definizione, può assumere la funzione omnisciente di narratore esterno e superficiale. La sua è una ricostruzione imperfetta, frammentaria e surreale, intaccata dalle opinioni proprie e altrui. E’ l’occhio che si posa su Violetta: cassiera di un supermercato, i suoi sogni da regina impattano con la realtà, che vede tramutarsi quel suo reame di finzione nel retro del magazzino di un market, popolato da barboni e migranti in cerca di una sistemazione decente. Gli ultimi di quella società che vive tra insegne luminose e prodotti invitanti. Tra essi si muove Laika: un’esistenza impossibile, tra drammi continui e miracoli inutili, compassionevolmente ospitata nel gabbiotto del custode del supermercato. Dopo il suo trascorso da ladra bambina, e il risanamento in un collegio gestito da suore, più vicine al carcere di regime che agli insegnamenti di Dio, arriva il compatimento di una poliziotta. Sarà per lei una salvezza momentanea, la fiaba tanto attesa è giunta oltre il tempo massimo di sopportazione, e il suo sapore è amaro come quello di un caffè decaffeinato. Una fortuna beffarda, che arriva in ritardo, dopo che tutte le monete di Said sono finite nella cassa di un video poker; lui a Laika ha voluto sempre bene, ma il demone del gioco l’ha trasformato da buon esempio di un integrazione riuscita, in uno dei tanti casi irrecuperabili di malati d’azzardo.
Ascanio Celestini ci presenta un’epopea declassata, di chi dalla vita non ha ottenuto che disillusione: possano essi essere migranti, barboni e emarginati, accomunati da un destino che non hanno scelto, soffocati dal giudizio della gente per bene. Condannati per essere in mezzo a tutti, guastando il quotidiano perfetto e il diritto di lamentarsi per le cose futili, la loro presenza ricorda i problemi reali di chi sta veramente male, ed equivale a un pugno nelle nostre coscienze; scuotendo a compassione quelle di alcuni e attivando il cinismo di altre, che valutano l’orgoglio di una barbona nel non chiedere l’elemosina, come una distorta visione di un benessere celato. Condannata per una scelta di vita sbagliata, da quegli sguardi superficiali capaci anche di trasformare singoli individui in masse di disperati senza nome, in fuga da guerre che nemmeno sappiamo esistere. Ai margini della società, ai margini del mondo: culture confuse dal pressapochismo, tanto da non sapere a quale fede rivolgersi per dare sepoltura agli anonimi corpi in fondo al mediterraneo. Una volontà a non essere informati, per non restituire quella dignità ad uomini etichettati come portatori di delinquenza e problemi, invasori e minaccia di quel benessere che tanto gelosamente custodiamo e che con tanto egoismo non condividiamo. Ascanio Celestini punta il dito contro questi ragionamenti, la sua è la voce di tutto questo “Pueblo”, che entra nelle nostre coscienze attraverso quel mezzo di sensibilizzazione che è il Teatro.