Quasi ogni regista che abbia lasciato traccia nel mondo del cinema, ha avuto una musa, o un interprete feticcio, che potesse essere il prolungamento della propria ombra dall’altra parte della macchina da presa. Il legame tra Michelangelo Antonioni e Monica Vitti è andato oltre questa inflazionata consuetudine, sia perché è sconfinato nel privato, ma soprattutto perché l’attrice: attraverso padronanza recitativa e personalità, è riuscita a donare nuove sfumature e ulteriore spessore, ai personaggi ideati dal regista appositamente per lei. Donne forti ed emancipate, enigmatiche e fragili. Monica Vitti è l’interprete che meglio ha definito l’evoluzione della donna nel ‘900, ed Antonioni colui che è riuscito a carpirne il talento, valorizzandolo e collocandolo nel giusto posto al cinema. Il sodalizio artistico dura il tempo di 4 film consecutivi a inizio anni ‘60, fondamentali per la carriera di entrambi; un quinto incontro avverrà nel 1980 con “Il mistero di Oberwald”. L’incontro avviene durante doppiaggio di “Il grido” diretto da Antonioni: quando Monica Vitti presta la sua inconfondibile voce roca a Dorian Gray, da attrice ancora semi sconosciuta. Il regista invece sta già preparando la trilogia destinata ad innalzarlo tra gli immortali della settima arte. Il cineasta sta vivendo una fase di trasformazione stilistica, nel tentativo di intraprendere un’indagine sull’individuo, sulle sue alienazioni, e sulla crisi della borghesia. Utilizzando molti piani sequenza ed esaltando l’ambiente circostante, non più solo sfondo ma elemento interagente con i personaggi. L’incomunicabilità, tema centrale della trilogia, passa dai moderni e spaziosi quartieri, vuoti e ricchi di alti edifici in cemento armato, emblematiche rappresentazioni fisiche della difficoltà di relazionarsi. Lo sconvolgente epilogo del mancato incontro Vitti-Delon, tra i silenziosi edifici dell’EUR in “L’eclissi”; i grattacieli di Milano dove si consuma il tradimento, e la ine di un matrimonio logoro in “La notte”, ideale prolungamento dell’inizio di un tormentato rapporto visto in “L’avventura”. Antonioni cuce addosso alla Vitti l’abito di sensuale tentatrice, di donna sofisticata ed emancipata, a cui l’attrice aggiunge fascino e mistero, fragilità e disillusione. Deserto Rosso (1964) suggellerà la fine della fortunata collaborazione artistica. Antonioni sarà tentato dal cinema americano, Monica Vitti dai maestri della commedia italiana