L’uomo, la bestia e la virtù
In questi giorni, si è tenuto a Mondovì il decimo Festival del teatro studentesco cittadino "Tutti in scena", con la rappresentazione di spettacoli teatrali organizzati dagli istituti monregalesi e dalla storica compagnia teatrale "Servi di scena".
Si è iniziato il sei maggio con "LisiStrada", a cura dell'Istituto "Garelli", per proseguire con "Linea 3: rewind", a cura del IIS Giolitti Bellisario Paire Mondovì e Barge - Cn, quindi "Rete Omero", a cura del Liceo "Vasco - Beccaria - Govone", "L'albero della zia Milla", a cura dell'Istituto "Cigna", "Leonardo - Vita di un genio", a cura dell'Istituto "Baruffi"; e infine "In Trappola", a cura del Liceo "Vasco-Beccaria-Govone".
Un'iniziativa in costante crescita, il cui successo decennale è stato festeggiato con uno spettacolo allestito dalla stessa compagnia dei Servi di Scena, "L'uomo la bestia e la virtù" di Luigi Pirandello, portato al teatro Baretti in occasione del centenario della prima rappresentazione dell'opera, avvenuta nel 1919.
L'opera è tratta da una novella del 1906, agli albori della produzione dell'autore: segue di poco il primo romanzo, il "Fu Mattia Pascal" del 1904. Non è tra le più note del grande autore siciliano, ma è tra quelle più rappresentate ai suoi tempi, anche per l'apparente (e, trattandosi di Pirandello, illusoria) maggiore facilità comica, in grado di far ridere di gusto, in alcuni tratti, anche il pubblico ingenuo. Ovviamente, come sempre in Pirandello, comico e tragico si compenetrano nel tragicomico, e il momento umoristico cela in sé il momento del dramma esistenziale. Lo stesso autore, infatti, non definiva l'opera una commedia, ma un "apologo in tre atti": un dramma morale, dunque, in grado di mostrare, tramite il riso, il vuoto della società borghese.
Messo in scena all'Olimpia di Milano nel maggio 1919 (la ricorrenza è dunque precisa), raccolto in volume da Bemporad nel 1922, la variazione farsesca, ai limiti del boccaccesco e dello scollacciato, lasciò in un primo momento perplessa la critica, che colse poi (con Marco Praga, che immediatamente l'aveva stroncata, per poi rivalutarla in parte) il valore di questa variazione del maestro.
Fin dal titolo l'opera mette in scena il tema centrale dell'autore, la "maschera nuda", il ruolo sociale che siamo costretti a scegliere e sciolto il quale vi è il nulla. L'uomo e la bestia sono, all'apparenza, il raffinato e cinico professore e l'animalesco capitano di vascello, rispettivamente amante e marito della signora Perella, che assume la maschera della virtù. I due ruoli maschili hanno una valenza intercambiabile: il professor Paolino, che si pretende l'uomo, mostrerà il suo lato bestiale nel disperato tentativo di sopravvivenza, cedendo vilmente a ogni degradazione pur di ingannare il rivale ed evitarne la vendetta, in una farsesca sceneggiata per fargli ingerire l'afrodisiaco su cui ruota la sua trovata (un po' una rovesciata Mandragola del Machiavelli, con cui il testo condivide l'umor nero nella comicità).
Perella è sì bestia, ma almeno più "uomo" nella sua ferina virilità.
La contraddizione della signora Perella, ben interpretata dalla "nostra" Marika Mangini, collaboratrice del Culture Club 51 per le pagine teatrali, è interna al personaggio. Per certi versi, è una possibile (e più giovane) incarnazione della "vecchia imbellettata": anch'ella appare truccata goffamente in scena in un tentativo estremo di seduzione del marito, con un effetto comico (sottolineato dalla reazione sguaiata del Capitano) che ha, però, una nascosta valenza tragica.
L'interpretazione dei servi di scena è fedele al testo originale, di cui cerca di rievocare correttamente lo spirito (non così il film di Steno del 1953, con Totò, che vide un contenzioso con gli eredi Pirandello per gli stravolgimenti operati), anche a partire da scenografia e costumi. L'interpretazione è gustosa e riuscita, scegliendo spesso un registro lievemente caricaturale, nelle rispettive cameriere dei due protagonisti (ben marcato il contrasto di caratteri, come pure nei due allievi, l'imbranato liceale e il pestifero primogenito "Nonò"), nell'assonnato medico trascinato a forza nella vicenda, o nel bravo Capitano di cui l'attore rende con efficacia il sanguigno sarcasmo, con tratti anche un po' duceschi (siamo del resto negli anni giusti, dal 1919 al 1922). Ai due protagonisti maschile e femminile, Paolino e Perella, è affidato invece il compito di reggere anche il piano tragico: alternando la maschera di affabile cortesia ("sorridere, sorridere" invoca disperato Paolino nel dirigere la sua personale messainscena per compiacere il rivale) allo sconforto e all'angoscia reale che viene fatta trapelare sotto di essa.
In ultimo, mi ha colpito una suggestione insita al testo: la vicenda trasposta in chiave umoristica rimanda da vicino a un episodio fondante del testo biblico, quando David, per coprire il suo tradimento con Betsabea, moglie di Uria l'Ittita, cerca di spingere in ogni modo il suo generale a giacere con la donna; ma al rifiuto di questi lo uccide spedendolo in prima linea (e attirando così sul suo popolo la nota maledizione divina: "La spada non abbandoni mai Israele"). Un parallelo accennato in molta critica, ma poco indagato, anche se Pirandello in altri testi metteva dei riferimenti significativi alla cultura sacra (per esempio, tutta la cristologia rovesciata del Fu Mattia Pascal).
In ogni caso, una bella occasione di teatro, che speriamo venga riproposta, magari - dato che siamo in ambito anche di teatro scolastico - come occasione di studio di un autore (l'autore?) fondamentale del Novecento.
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L'uomo, la Bestia e la Virtù
SABATO 18 MAGGIO
TEATRO BARETTI MONDOVI'
con Linda Grosso, Marika Mangini, Sonia Martini, Andrea Mongardi, Simone Reviglio, Filippo Schellino, Diego Tampalini, Gianluca Tomatis e Tania Troia.
Regia di Michele Rados
Luci e suoni a cura di Simona Giacosa