Venezia 2019: Il cinecomics è d’autore
Soprese non pochi la giura dell'edizione 2017 della Mostra del cinema di Venezia, quando assegnò a "La forma dell’acqua" di Guillermo Del Toro, il Leone d’oro per il miglior film. Il riconoscimento fu oltremodo benaugurale, la pellicola infatti a distanza di pochi mesi vinse anche l'Oscar come miglior film, e rappresentò un piccolo caso all’interno della critica nei Festival. Una fiaba, un fantasy che si presta a riflessioni, ma con una decisa apertura all'intrattenimento, esce vincitore dall’ostile territorio del cinema d’arte. E’ vero che Del Toro è sempre stato stimato dalla critica, ma prima di portarsi a casa un riconoscimento ufficiale un po’ ce ne passa. Ora il trionfo del "Joker" di Todd Phillips: e se due indizi fanno una prova, appare chiaro che il Festival abbia la chiara intenzione di svecchiarsi, buttando magari un occhio dall’altra parte del cielo, verso quel lato di cinema che forse di troppi pregiudizi ha sofferto. Se c'è un'apertura verso il prodotto di massa, questo non vuol dire che all'improvviso esso sia diventato tutto quanto di qualità. C'è però da riscontrare come quella qualità, che un tempo le superproduzioni "fumettistiche" associavano solamente alla spettacolarizzazione, si sia avvicinata gradualmente a ciò che la critica riteneva tale. In tal senso le trasposizioni di opere di Alan Moore e Frank Miller, oltre a prodotti ancora più underground hanno aiutato, creando un punto d'incontro tra le due parti. Questo ha permesso alla critica di cogliere quel tentativo di impegnarsi in opere di maggiore spessore, favorendo l'entrata in corsa per l'Oscar di Black Panther, e spingendo l'inserimento di alcuni accenni autoriali nel megashow di Avengers - Endgame. Guardando al passato ci accorgiamo che in verità il successo critico delle pellicole fumettistiche era già arrivato, non si possono scordare i Batman griffati Tim Burton e Christopher Nolan. Tuttavia l’impressione destata era che si trattasse di episodi sporadici: dove l'intento, da parte di registi già consacrati dalla critica, di esibire la propria arte in un genere popolare, veniva assecondato da produzioni disposte a sfruttarne la visionarietà. Una comunione d'intenti concreta parrebbe avvenire soltanto adesso, ed è frutto di un'evoluzione che il cinema di continuo genera, in maniera spesso incostante che vive di momenti stagnanti e improvvise impennate. Guillermo Del Toro è stato tra i primi ad aver capito, che grazie alla trilogia de "Il Signore degli Anelli" firmata Peter Jackson, il fantasy si era evoluto, e che da quel momento in poi si doveva offrire qualcosa in più. Lo stesso discorso vale per il post "Cavaliere oscuro" di Nolan: una linea era stata solcata, le scazzottate in costume da sole non bastavano più. La critica si era accorta che qualcosa stava cambiando, ed era pronta con maggiore ardore a rigettare chi era restato indietro, ma anche disposta a supportare chi si proiettava avanti.
Una volta tanto l’impoverito e pigro cinema italiano non è rimasto a guardare, se un autore come Salvatores si messo è in gioco, tentando di dimostrare con "Il ragazzo Invisibile", che si poteva fare; sarà un altro, Gabriele Mainetti con "Lo chiamavano Jeeg Robot" a raccogliere i maggiori consensi. Il cinema è soprattutto economia, e chi lo realizza questo lo sa. Tuttavia se la bilancia pende sempre ugualmente dalla stessa parte, l’attenzione a creare qualcosa di interessante continua ad aumentare; forse anche per merito del pubblico, che tende sempre di più a boicottare le sale, ma che ha imparato ad esigere qualcosa di meglio. Quello che è avvenuto con il Joker di Todd Phillips può essere un episodio isolato o una moda del momento, oppure una piccola rivoluzione del pensiero critico che durerà a lungo, questo ancora non possiamo saperlo. Vale però la percezione che il cinema d'autore non sia più quel territorio elitario per pochi adepti, è che la qualità sia ad uso e consumo di tutti quanti, senza più quella barriera ideologica che separava intrattenimento e impegno.