Franco Bergese e la storia dell’Oasi di Crava-Morozzo

di PAOLO ROGGERO ed EMANUELE LUBATTI
«Tutto è cominciato da tre pazzi”, che saremmo io, Tomaso Giraudo e Ada Gazzola. Nel 1978 facemmo un mutuo di tasca nostra di un centinaio di milioni di lire per comprare i terreni e iniziare a costituire il primo nucleo di quella che poi sarebbe stata l’Oasi di Crava-Morozzo. Da quel momento abbiamo navigato sotto la linea di galleggiamento di questo debito pesantissimo. Quando abbiamo cominciato a riemergere a galla, dopo anni, appena siamo rientrati un minimo di quel debito, ne abbiamo fatti altri, perché c’erano altre cose da fare, altri terreni da comprare. Gente così come si può chiamare? Io dico “pazzi”».
«Ora gli alberi sono patrimonio di tutti»
Sorride Franco Bergese, mentre guarda la “sua” Oasi, e si perde visibilmente nei ricordi. È chiaro che, quando guarda all’orizzonte, non vede solo uno spazio incontaminato, incastrato nel bel mezzo della pianura del Pesio, in mezzo a ettari ed ettari di colture industriali. Non vede solo pioppi, ontani, faggi. Non vede le casette di osservazione, gli isolotti, le acque ferme dello stagno. Ognuno di questi elementi, ogni metro di quell’area racconta una storia, un’avventura. Bergese vede anni di lotte, fatiche e sacrifici per costruire quell’ecosistema, restituirlo alla natura e regalarlo alla comunità. Sarebbe disposto a raccontarle tutte, se ne avesse tempo. «Quegli alberi là – indica uno spazio al di là del centro di osservazione, ai margini del lago – hanno centinaia di anni. Piante magnifiche, querce che sono dei monumenti. Una mattina, quarant’anni fa, sono arrivato qui: su ciascuno di quegli alberi c’era un contrassegno rosso. Volevano abbatterli con il beneplacito della Forestale. Erano state vendute. Ci siamo attivati immediatamente presso la Regione ed eccole, sono ancora là». Intanto si muove verso un albero di medie dimensioni, che si staglia imponente sul margine del lago. «Questo l’ho piantato io, 29 anni fa esatti. Era il ’90, ricordo che gli portavo l’acqua con un secchio, tutte le mattine. Guardate adesso cos’è diventato. Questa fila di piante l’abbiamo piantata in quegli anni per schermare il lago e creare un ambiente più confortevole per gli animali. Adesso tutto questo è qui ed è una risorsa per tutti. Tutti possono venire qui, godere di questo panorama, di questi alberi. Possono abbracciarli. Sono di tutti». Fa una breve pausa, e sembra che l’emozione, per un momento, abbia il sopravvento. Conclude, con gli occhi lucidi: «Sì sono proprio soddisfatto di quello che è diventato questo posto».
Un sogno lungo 40 anni
Nel 1978, il terreno tra i laghi di Crava e di Morozzo era occupato da un pioppeto e da alcune coltivazioni. L’idea di fare un’Oasi venne ai tre amici nel corso di una visita, constatando la straordinaria ricchezza avifaunistica che sostava sulle rive del lago. «In particolare notammo un Tuffetto, un uccello molto particolare, piccolo, dal comportamento esuberante. Si tuffava in acqua qui, usciva là. Svolazzava su un albero. Si lanciava dall’altra parte, freneticamente. Non è un caso che, appena creata l’Oasi, lo abbiamo eletto a simbolo di questo nostro piccolo sogno, prima che lo facessero altri». Frugando nell’auto, tira fuori una vecchia lettera, un mazzo di documenti. «Questa è stata la lettera con cui abbiamo presentato in Regione il nostro progetto. È cominciato tutto da qui. Dobbiamo ringraziare anche l’ex sindaco di Rocca De’ Baldi, Adriano Cavallaro, che è stato il primo a credere nel nostro progetto e darci concretamente una mano». L’Oasi si è ampliata negli anni, aggiungendo pezzi di terreno quando serviva, per ampliare gli spazi e rendere l’ambiente sempre più adatto ed accogliente per più specie animali. «Abbiamo creato questo specchio d’acqua, di cui possiamo regolare la portata. C’erano già i laghi di Crava e Morozzo, ma il problema era proprio questo: non essendo controllabile il flusso negli anni di piena, tante specie ci rimettevano il nido e le covate. Noi qui possiamo alzare il livello e abbassarlo quando serve. In questa Oasi c’è tanta biodiversità anche perché ci sono tanti tipi di habitat, in cui gli animali possono trovarsi a loro agio: c’è l’ambiente palustre, con tre livelli diversi di profondità, dove si trovano animali e uccelli acquatici. Poi c’è il bosco e il campo coltivato. Un habitat naturale in cui, purtroppo, ultimamente è sempre più faticoso vivere per gli animali. Gli uccelli eliminerebbero molti insetti e consentirebbero l’uso di meno pesticidi, con meno inquinamento ». «Tanto è stato fatto in questi 40 anni: — ci spiega la responsabile Lipu, Daniela Marchegiani —: il Centro visite, con le aule dedicate ai laboratori per gli studenti, la foresteria e ora stiamo allargando ancora lo stagno. È uno spazio per tutti, in armonia con la natura. Questa nuova parte si intitolerà “Stagno Paradiso” ed è stato costruito con il contributo di Gabriella Tassinari, nel ricordo dei genitori Francesca Alberti Tassinari e Guido Tassinari. In questi giorni stiamo ultimando i lavori di posa del cemento per due nuove capanne di osservazione».