30 anni dopo: Il cinema a cavallo del muro
Nel panorama della cinematografia mondiale il caso della DDR rappresenta un microcosmo a se: una realtà strappata forzatamente dalla matrice tradizionale per essere consegnata ad una di stampo sovietico, nota per soprattutto per l’uso propagandistico del mezzo filmico. Nonostante le due scuole siano considerate storicamente entrambe all’avanguardia, quella russa diede vita alla formazione del genio Ejzenstein, mentre quella teutonica ha raggiunto l’apice nel periodo espressionista. Vengono entrambe unite ora sotto un'unica bandiera ideologica, costrette ad interfacciarsi con politiche di regime, sperimentate da entrambe in modalità diverse nei totalitarismi d’anteguerra. Lo smembramento della Germania ha portato drastiche conseguenze alla totalità della cinematografia tedesca, già in ginocchio per gli eventi bellici, ulteriormente danneggiata in fase di ricostruzione dall’isolamento della parte est di Berlino, in possesso dei 4/5 degli studi di produzione, e di una buona parte degli ultimi cineasti rimasti sul territorio. La censura da parte dell’uno e dell’altro blocco, e l’isolamento dal mercato dei titoli provenienti dalla sponda orientale hanno fatto il resto, il cinema tedesco ha vissuto la sua stagione peggiore proprio noi momenti adiacenti l’innalzamento del muro. Pochissimi i film giunti fino a noi in Italia, ma a distanza di anni la riscoperta di alcune importanti pellicole disperse nel marasma storico e cinematografico, ci possono aiutare a comprendere e approfondire lo stato d’animo dei berlinesi dell’est all’epoca del muro. Tra i titoli sopravvissuti al taglio censorio della SED, è giusto segnalare “Il cielo diviso” del 1964, capace di rappresentare la ferita nello strato urbano della città causata dal muro: attraverso il trauma psicologico e fisico inferto ad una popolazione già straziata dalla guerra e dalle macerie, le stesse che attorniano lo straniato approdo di un soldato russo nella Germania devastata, nell’autobiografico “Avevo diciannove anni” diretto da Konrad Wolf. Da segnalare inoltre “Jakob il bugiardo”, unica pellicola capace nell’immediato di raggiungere rilevanza a livello internazionale, grazie alla candidatura all’oscar del 1975, e da cui è tratto il remake dal titolo omonimo uscito nel 1999.
In questi giorni di celebrazione, sono le produzioni della Germania unificata uscite in seguito, ad apparire più incisive per una rilettura del passato. “Goodbye, Lenin!” e “Le vite degli altri” sono distanti in termini di linguaggio cinematografico: mentre il primo utilizza la farsa per presentarci il frenetico momento di passaggio da quel 9 novembre 1989, attraverso una dramedy dal sapore ostalgico, che ci porta a riflettere sul trauma del cambiamento, sedato solamente da un allestimento fantastico e artefatto della DDR. La seconda si mantiene su toni più consueti al dramma storico, riportandoci cronologicamente nel cuore della guerra fredda e delle attività di spionaggio. La sorprendente pellicola d’esordio di Henckel Von Donnersmarck è quella che meglio di tutte ci aiuta a comprendere gli umori hanno portato alla caduta del muro.” L’ascolto rubato” del funzionario della Stasi capitano Wiesler, strumento atto a soddisfare la sete di controllo da parte dei due blocchi. La libertà centellinata che obbliga a relazioni fugaci, e alla stesura clandestina di testi per mezzo di una macchina da scrivere posseduta illecitamente. Il tramonto di un’ideologia a favore dell'alba di un progresso sociale, quello presente nelle aspirazioni dell’intellettuale scrittore Dreyman, spiato da Wiesler. I due personaggi sono carichi di valore simbolico, appartenenti a due ideologie differenti, ne sono fautori e testimoni del passaggio di consegne. Grazie al sacrificio di Wiesler consapevole della fine del proprio credo politico di una vita, divenuto artefice del cambiamento proprio a seguito della decisione di proteggere il nemico Dreyman, la cui affascinata prospettiva, descritta nelle parole captate dalle orecchie della spia, sono state la fonte del suo mutamento di pensiero. Le sequenze finali ci riportano all’attualità di una Germania unita, dove le fortune degli interpreti si sono invertite, ma in entrambi prevale un sentimento di riconoscenza reciproca e la consapevolezza che la libertà finalmente conquistata dal battere dei picconi sul muro, sia nata dal battere sui tasti di una macchina da scrivere.