Barolo vinificato a Dogliani? Un cliente di Seattle difende l’azienda Pecchenino

In quel luogo c’erano tutti gli attrezzi che normalmente si trovano in una cantina». Lo ha detto un cittadino americano, residente a Seattle, cliente dell’azienda vitivinicola Pecchenino di Dogliani. Chiamato dall’avvocato difensore, ha testimoniato nel processo davanti al tribunale di Cuneo in cui Orlando e Attilio Pecchenino, contitolari dell’omonima azienda agricola di Dogliani, sono imputati per frode in commercio. Secondo la Procura, fecero operazioni di vinificazione di varie annate di vino etichettato come Barolo o destinato ad esserlo, a Dogliani, quindi al di fuori della zona di produzione. Secondo la difesa, sostenuta dall’avvocato Luisa Pesce, la vinificazione avvenne in una cantina di Monforte, succursale della sede principale. Il cliente americano ha detto di essere stato nella cantina di Monforte e di aver assaggiato vino prelevato da grandi botti.
Per i consulenti della difesa, Vittorio Portinari e Paolo Terzolo, a Monforte avvenne sia la produzione che l’invecchiamento. Queste operazioni per il consulente del pm si dovrebbero comunque fare in locali separati. «È vero – ha asserito Terzolo –, ma è un concetto proponibile solo in una cantina grande, in quelle di Barolo di solito le due operazioni coincidono nello stesso locale. Quella cantina era congrua perché conteneva l’attrezzatura necessaria». Per i Carabinieri del Nas, a Monforte le vasche per la vinificazione non ci sarebbero nemmeno state perché sono alte dai 5 ai 6 metri mentre lì il soffitto ha l’altezza di una cantina normale. I militari fecero anche accertamenti sui consumi dell’acqua a Monforte rilevando che «non erano corrispondenti alla vinificazione che richiede un alto consumo legato al lavaggio delle vasche».
Per una parte dell’inchiesta, che ricadeva sotto la competenza del tribunale di Asti e riguardava perlopiù vino sfuso, i due fratelli hanno patteggiato quattro mesi con la condizionale all’inizio dello scorso anno. Per questo Orlando Pecchenino, all’epoca presidente del Consorzio di tutela del Barolo, diede le dimissioni. L’avvocato Pesce ha precisato che ad Asti venne scelto il patteggiamento soltanto per ottenere il dissequestro del vino sfuso che altrimenti sarebbe andato a male. A Cuneo la questione riguarda bottiglie con prodotto a più lunga conservazione.