Alfabeto di sbadanza: Q come Quarantena
Quarantena e Quaresima, a ben vedere, sono la stessa cosa. Come origine della parola, infatti, tutte e due risalgono al latino quadraginta, cioè 40. Quaresima viene dall’aggettivo quadragesima (dies), attraverso il latino parlato *quarresima: il riferimento ovviamente è ai quaranta giorni che Gesù passa nel deserto digiunando e resistendo alle tre tentazioni di Satana. Quarantena, invece, è parola meno antica che per la prima volta compare – sostiene il Dizionario Etimologico della Lingua Italiana – nella Regola degli Ospitalieri del Tau di Altopascio del 1239: e si riferisce ovviamente ai quaranta giorni di isolamento imposti alle persone che si sospetta abbiano contratto una malattia contagiosa. La parola quarantena però, a quanto pare, comincia a conoscere un certo successo a partire dal 1403, data in cui il governo di Venezia impone per la prima volta una quarantena marittima. La parola poi, per ragioni che non è il caso di spiegare, conosce una larghissima diffusione nel Seicento, l’epoca della grande peste nelle regioni dell’Italia del Nord.
Già, l’Italia del Nord.
«Ma sempre qui devono scoppiare le porcherie?».
Mia mamma guarda fuori dalla finestra, per quel che la sedia a rotelle le consente di fare. Non può uscire, e per lei è un trauma.
Se sei vecchia, malata, immobilizzata e dipendente dalle medicine, qual è la cosa che ti manca di più in quarantena? Uscire.
Lo so che è pazzesco: per uscire devi farti spostare con l’alzapersone, farti caricare sul montascale a cingoli e pencolare pericolosamente sul vuoto delle scale, e intanto bardarti come un guerriero medievale per sfuggire al freddo (perché tu hai freddo anche quando in giro incontri ragazze con l’ombelico in vista e giovanotti con le braghe corte); eppure, uscire per te è la cosa più bella della giornata. La seconda cosa in ordine di bellezza è andare alla Casa di Riposo e partecipare alla Messa, ogni giorno, sistematicamente.
Bene, adesso non puoi più fare né una cosa né l’altra. Messe in Casa di Riposo, non se ne parla da un bel po’. Ma adesso è proprio il concetto di uscita che deve abbandonare il tuo orizzonte: ed è dura, per te, cara vecchietta che ricordi come un incubo la seconda guerra mondiale, hai attraversato indenne l’epidemia asiatica del 1957, la grande austerity dei primi anni Settanta, gli Anni di Piombo...e ti sei sempre trovata nel posto sbagliato nel momento sbagliato: a venti metri dal comando partigiano della tua valle durante la Resistenza, in un viavai di formazioni disomogenee sottoposte al fuoco di fila dei tedeschi e dei repubblichini; in una periferia caotica e violenta di Torino durante gli anni del terrorismo e delle lotte di mafia fra catanesi e calabresi. Per questo ti chiedi perché le porcherie debbano sempre scoppiare QUI,e quel QUI significa più o meno dove sei TU.
Ma l’epidemia, certo, non te l’aspettavi. E dentro di te, stupita, pensi: mi sono chiesta tante volte cosa vivevo ancora a fare, così gravemente malata e così fragile e così limitata. Sta’ a vedere che era solo per consentirmi di vivere una cosa che nei miei ottantadue anni di vita non avevo ancora mai visto, cioè una vera pandemia: e dopo aver invocato tante volte la morte come liberazione dalle sofferenze, quasi come un surrogato definitivo della morfina, adesso che lei è lì, per strada, ovunque, nascosta, non con la cappa nera e la falce ma con un’invisibile forma di pallina coronata, adesso hai paura di morire. Sai che la pallina coronata aspetta proprio te, con tutti i tuoi problemi, le tue polmoniti pregresse, le tue infezioni superate a fatica, il parkinsonismo e il diabete e tutto il tuo organismo senza difese.
E stai in casa – non solo perché te lo ha ordinato Conte.
Stai in casa perché hai paura – o forse, più ancora, perché sei curiosa.
Precipitata ancora una volta nel posto sbagliato della storia, vuoi vedere come va a finire.