Dimenticata per 300 anni: a Piozzo gli esperti studiano la tela di Santo Stefano
Ritrovata tempo fa dal parroco don Armando Ferreri, dalla storica locale Felicina Priola e dall’architetto Enrico Chionetti nella Confraternita dei Battuti Neri di Piozzo, tra vecchie tele ormai dimenticate da oltre 300 anni, la grande pala d’altare che raffigura il martirio di Santo Stefano verrà ora studiata e probabilmente recuperata, per poi essere esposta al pubblico. Il dipinto, di particolare pregio e delle dimensioni imponenti (alta più di due metri e larga oltre uno), è attualmente conservato nella parrocchiale del paese. L’opera, realizzata da Carlo Bigatto, pittore seicentesco di Mondovì del quale però finora si è scoperto ben poco (alcune novità su di lui stanno emergendo proprio in questi giorni, grazie ad una recentissima ricerca), è oggetto di ricerca da parte dello storico dell’arte Alessandro Abrate, che ha raccontato come il dipinto fosse arrivato a Piozzo nel 1673 proprio dopo essere stato dipinto a Mondovì; destinato a diventare pala dell’altare maggiore dell’antica parrocchiale di origine medievale, poi però abbattuta pochi anni dopo. Nella stessa posizione venne successivamente edificata, dall’architetto luganese Fontana, l’attuale parrocchiale, di dimensioni più ampie, dedicata appunto a Santo Stefano, come già la chiesa precedente. Ora si punterà al restauro della pala (fondi permettendo), dopodiché l’opera sarà esposta nel nuovo Museo d’arte che si vorrebbe allestire proprio a Piozzo.
Nascerà un Museo d’arte in paese, sopra il “Centro giovani”
«Il progetto di valorizzazione, nel suo insieme, è davvero interessante – spiega il coordinatore, l’arch. Enrico Chionetti –. Il Museo d’arte troverebbe spazio al primo piano e nel sottotetto dell’edificio di proprietà comunale che al piano terra ospita già il “Centro giovani”, voluto dal precedente sindaco Adriano Bottero. Sarebbe una sistemazione ideale, con ampi locali e servizi igienici a norma già disponibili. Al piano terra inoltre potrebbero essere realizzati un bookshop e una caffetteria». L’obiettivo sarebbe quello di aprire al pubblico i nuovi locali magari già in autunno, in concomitanza con la Fiera della Zucca, inaugurando il progetto con un primo allestimento. «Abbiamo già avuto l’ok della Soprintendenza – aggiunge l’architetto – e siamo fiduciosi anche sulla stipula di una convenzione tra Comune e Diocesi: il Comune metterebbe i locali e la Diocesi concederebbe le opere in comodato per il Museo. Una formula già sperimentata con successo a Clavesana. La tela di Santo Stefano potrebbe essere la prima opera “simbolica” per aprire il Museo, visto che è anche l’ultima cosa rimasta dell’antica parrocchiale. Nel nuovo Museo poi troverebbero posto altre opere che attualmente si trovano nel piccolo Museo sopra la sacrestia, voluto negli anni ’70 dall’allora parroco don Gallo, ma ora non più accessibile al pubblico secondo le disposizioni di legge».
«Un’opera che indica un notevole impegno pittorico»
«La nuova parrocchiale non prevedeva il reinserimento della tela di Santo Stefano, che quindi venne accantonata ai Battuti Neri – spiega Abrate –. Nessuna notizia sinora è stata rintracciata su Carlo Bigatto: pertanto l’opera (firmata in basso “Carolus Bvcatvs pinxit”) è divenuta un primo, e ad oggi unico, tassello di indagine sulla presenza di questo misterioso autore, sicuramente a Mondovì e forse altrove. Il dipinto non è un’opera eccelsa, ma è sicuramente importante da un punto di vista storico-documentario. La notevole dimensione della pala, il tentativo, in parte risolto, di presentare una scena in cui compaiono varie e atteggiate figure, la presenza delle architetture monumentali alla destra, le soluzioni compositive e iconografiche che possono ricondurre ad esempi noti relativi a simili soggetti, il phatos espresso dagli atteggiamenti e dai visi dei protagonisti, indicano un impegno pittorico notevole, dunque interessante. Il Bigatto si muove in ambito monregalese in un epoca culturale importante, negli anni del cantiere del Santuario di Vicoforte e di quello della chiesa della Missione a Piazza».
Santo Stefano, martire lapidato con ferocia
«La scena raffigurata nel dipinto – aggiunge Abrate – presenta Santo Stefano in abiti talari al centro della composizione, in ginocchio. Le braccia aperte, il volto al cielo. Mentre alcuni sgherri lo stanno lapidando con ferocia. Sulla sinistra, in basso, vestito con abiti secenteschi, compare la figura di Paolo di Tarso che, secondo antiche fonti, sarebbe stato testimone della lapidazione di Stefano in tempi precedenti la sua conversione. In alto, assiste la scena la Santissima Trinità, raffigurata da Dio Padre, Gesù Cristo e dalla colomba, mentre un angelo volteggia sopra la testa del Santo, recando in mano una foglia di palma, simbolo del martirio. Un soldato con elmo e alabarda, in piedi a destra della composizione pittorica, osserva impassibile la scena. La morte del protomartire Stefano, sempre secondo la tradizione, avvenne presso il Getsemani, fuori dalle mura di Gerusalemme, assumendo così un forte significato simbolico.
Curiosità: il dipinto sarà esposto nel palazzo della famiglia che lo portò a Piozzo
Il palazzo che ospiterà il nuovo Museo, in origine era di proprietà della facoltosa famiglia Boschis, di Farigliano. Casualità vuole che fu proprio Andrea Boschis, nel 1673, ad acquistare la tela del martirio di Santo Stefano a Mondovì, dal pittore Bigatto, per portarla a Piozzo.