Drive-in: un’esperienza del passato da riproporre per necessità?
Ha suscitato interesse in questi giorni la proposta di rispolverare i vecchi drive-in. Una soluzione per consentire una parziale ripartenza del comparto cinematografico, completamente bloccato dall’emergenza sanitaria. La visione dei film all’aperto e comodamente seduti nelle proprie auto, ha rappresentato uno degli aspetti più identificativi della vita a stelle e strisce, restando qui da noi sostanzialmente un sogno proibito, nonostante che al contempo attecchissero praticamente tutte le mode importate dagli USA. Il drive-in in Italia per immaginario collettivo è il programma TV, che ha imperversato negli anni ‘80; passaggio obbligato di un’intera generazione di comici. Nello show il cinema da parcheggio, e tutto il suo contorno, erano sostanzialmente un contesto scenografico in funzione alle esibizioni, che però riusciva a cogliere i lineamenti sociali che lo contraddistinguevano anche in America. Un luogo ostacolato da difficoltà logistiche di esposizione, che non favoriva la fruizione delle pellicole d’autore, e nemmeno dei film più spettacolari. Ma dove i giovani potevano facilmente socializzare, e le famiglie trascorrere le serate senza temere il chiasso dei figli. Un intrattenimento perlopiù disimpegnato, divenuto ben presto terra di conquista dei b-movies, di grande aiuto per gli approcci intimi dei giovani (la terrificante comparsa del “Mostro della laguna” di turno favoriva lo stringersi ai propri partner). Questo di riflesso è giunto a noi, attraverso le pellicole che in quegli spazi hanno tracciato un affresco generazionale; come in American Graffiti, che ha avuto il merito di lanciare due punti di riferimento come George Lucas alla regia, e Ron Howard a rappresentare quella gioventù degli anni ‘50, che sempre attraverso il suo volto ci arriverà ancora più efficacemente in Happy Days. I drive-in hanno fatto il loro tempo, e l’idea che essi appartengano ormai al passato, ci arriva forse anche dall'averli visti innumerevoli volte nella città cartoon di Bedrock dei Flinstone’s. Un suo riproporsi, anche se per necessità, assomiglia ai quei vani tentativi dell’industria cinematografica di rinnovare il proprio apparato accessorio (i ciclici ritorni del 3D ne sono la dimostrazione più lampante). Resta comunque il fascino e la curiosità, se qualcuno tenterà l’azzardo, di provare un’esperienza tanto mainstream quanto anacronistica.