Venezia 2020/Un leone in gabbia
Già prima del suo inizio, la 77ª edizione della Mostra del Cinema di Venezia era destinata ad entrare nella storia. Se come primo Festival della ripartenza post lockdown o di convivenza col virus sarà solo il futuro a dircelo. Un’edizione figlia del suo tempo, non solo per le mascherine e il distanziamento, smaniosa di proseguire un trend in ascesa negli ultimi anni, che ha reso il festival più ambizioso e moderno rispetto alla concorrenza, costretta però a restare appagata della sola soddisfazione di essere andata scena. Il “Leone” è rimasto in gabbia, insofferente per tutte le limitazioni, e nervoso per la situazione di un cinema impossibilitato ad andare incontro alle platee che merita. Colpa degli eventi, che hanno reso il Festival dimesso, e tenuto lontano titoli altisonanti: collante tra pubblico e giurie, rimasti nei capannoni degli studios, in attesa di tempi migliori. I Festival dovranno sempre accettare il lato lucroso del cinema. Permane intatto l’assetto essenziale della Mostra, in grado di richiamare un cinema “lontano”, e capace di grattare sotto una superficie troppo conformata nello stabilire l’autorialità. A trionfare è “Nomadland”, adattamento del libro di Jessica Bruder, diretto dalla regista cinese esportata in USA Chloè Zhao: road movie che affronta il dramma della Grande recessione del 2008. La vicenda offre un neorealismo all’americana (molti attori non professionisti affiancano l’acclamatissima Frances McDormand), testimonianza di come la visione statunitense del periodo di crisi venga associata alla situazione italiana post-bellica. Il nostro cinema si gongola con la coppa Volpi come miglior attore. assegnata a Pierfrancesco Favino. Sempre più punto di riferimento del panorama italiano, pronto per essere esportato non solo come caratterista. Consueti i mugugni nostrani di chi è rimasto fuori dai premiati, promotori della tradizionale polemica sul mancato supporto dei film italiani, e della poca considerazione dei giurati. Si attendeva il Leone d’oro alla Regia ad una donna, invece il premio è finito nelle mani del giapponese Kiyoshi Kurosawa. Ma Venezia 2020 verrà ricordata anche per la parità di genere ottenuta sul campo, grazie ad una nutrita partecipazione femminile alla regia, 8 su 18 pellicole in concorso. Un risultato ottenuto non per merito di chiassosi proclami o col rincorrersi degli hashtag, ma attraverso il duro lavoro e il maggiore impegno insito in chi ha la volontà di primeggiare. Quale sarà il dopo Venezia 2020? Un cinema in sala costretto a rinunciare alle cifre importanti delle produzioni mainstream, tra slittamenti, cancellazioni e deviazioni su piattaforma, riuscirà a sopravvivere grazie alle uscite fresche dei concorsi? E quanto essi possono dettare le tendenze, ad una schiera di appassionati del grande schermo, costretti a scegliere in un avaro catalogo di titoli? La preoccupazione che l’edizione 2020 diventi storica, perchè la prima di una nuova era, che vede relegata la sala a un ruolo marginale, è concreta.