Mondovì. Condannato per maltrattamenti alla moglie: lei si era rifugiata in farmacia

(a.c.) – È stato condannato alla pena di due anni e tre mesi, a fronte dei due anni e nove mesi richiesti dall’accusa, ed obbligato a risarcire il danno civile e al pagamento una provvisionale di 8.500 euro in favore della moglie, che nel 2019 aveva presentato denuncia per lesioni personali aggravate e maltrattamenti in famiglia. Così era finito a processo S.B., incensurato, cittadino marocchino residente a Mondovì.
All’origine del procedimento un evento, risalente appunto al 12 giugno dello scorso anno. La donna era entrata in una farmacia di Mondovì portando con sé il figlio di pochi mesi e aveva implorato di essere aiutata. I Carabinieri intervenuti l’avevano trovata in pigiama, con un grosso livido sull’avambraccio. Raccontava di essere stata picchiata dal marito e di non voler tornare a casa, perciò era stata accompagnata con il figlio in una struttura protetta.
L’imputato ha ammesso di aver “strattonato” la moglie in quella circostanza e si è scusato, negando però di averle mai usato violenza in altre occasioni. «Capitava di litigare, ma senza botte né insulti». Il sostituto procuratore Francesca Lombardi aveva contestato a S.B. nell’udienza precedente vari presunti episodi di violenza, documentati dagli accessi ospedalieri della moglie: in tre differenti occasioni la donna, arrivata in Italia da sola nell’ottobre 2018, presentava lividi all’occhio, tagli sul labbro, ecchimosi al volto. Il pubblico ministero ha ritenuto attendibile la versione della parte offesa, contestando anche l’aggravante di aver commesso i maltrattamenti in presenza di un minore di pochi mesi.
Oltre che ai referti e alle testimonianze di assistenti sociali e carabinieri, l’accusa e la difesa di parte civile, con l’avvocato Tiziana Marraffa, hanno dato rilievo alle condizioni di “solitudine” della donna e alle numerose fotografie che scattava per documentare i segni sul suo corpo. Immagini inviate più volte alla sorella in Marocco e poi cancellate dal cellulare perché il marito non le vedesse.
Per la difesa, rappresentata dall’avvocato Angela Figone, il quadro accusatorio riflette invece un «pregiudizio culturale» nei confronti della coppia marocchina. «S.B. non è un mostro e non aveva lasciato la moglie isolata dal mondo». Riguardo agli episodi di violenza contestati, cinque in tutto più la fuga, il legale difensivo ha sostenuto che «la parte offesa non è stata in grado di collocarli nel tempo e di documentare con i riscontri».
Prima della chiusura del processo a suo carico S.B. è voluto intervenire con una dichiarazione volontaria: «Chiedo scusa a tutti, ciò che è successo mi ha dato una grandissima lezione».