L’Inferno degli albori e la “Divina” mancata di Pasolini
Se si dovesse presentare una lista di riduzioni cinematografiche su opere e vita di Dante Alighieri, avremmo una filmografia piuttosto limitata. Possiamo trovare alcune trasposizioni dell’Inferno nel cinema degli albori, oltre a pellicole dedicate singolarmente a interpreti presenti nella Divina Commedia. Delle parodie, tra cui una di Totò; uno sceneggiato TV della RAI (Vita di Dante) dedicato al poeta, e molte citazioni o riferimenti marginali provenienti da oltreoceano: Al di là dei sogni e Inferno sono gli esempi più solidi. Mentre “Il mistero di Dante” è un docufilm che cerca significati massonici nella letteratura di Dante. E’ singolare constatare come il cinema, capace di riciclare tutto, sia rimasto, ad esempio, piuttosto indifferente al fascino della Divina Commedia: un’opera fondamentale e notissima a livello mondiale, dall’alto valore mistico e storico, e ricca di potenziale visivo. Nel 2020 i tempi sembravano maturi per un lungometraggio su Dante: Pupi Avati aveva presentato un progetto, ora arenatosi, sullo scrittore fiorentino. E’ proprio il nostro cinema a doversi far carico di una sua biografia, nonostante l’universalità del personaggio: il volgare e il contesto storico-politico dell’Italia del due-trecento, risulterebbero uno scoglio ostico da superare per una produzione estera. La passione italiana per la commedia e la tradizione nei film storici avrebbero dovuto suggerire ai cineasti connazionali di attingere con maggiore energia dall’eredità del poeta, come accaduto con Boccaccio, intensamente utilizzato con accento goliardico soprattutto nel corso degli anni ‘70. Anche Pasolini trattò prima Boccaccio, con il suo “Il Decameron”, inserito nella “Trilogia della vita”. Ma l’uscita postuma di “La Divina Mimesis”, rilettura letteraria incompiuta dell’opera di Dante, avrebbe probabilmente aperto ad un adattamento cinematografico. Tuttavia il regista ci ha lasciato ugualmente alcuni riferimenti all’interno dei suoi film: citando i versi di Bonconte in apertura di “Accattone”, e riadattando le bolge dantesche in “Salò o le 120 giornate di Sodoma”.