Darko, cuore diviso a metà tra Stella Rossa e Ceva: «Sono tornato a casa»
C’erano le bombe, la devastazione della guerra e un pallone che continuava a correre. «Sono partito che ero un ragazzo, giocare a calcio era un modo per sfuggire alla povertà e scappare. Quasi una necessità. Ora torno come uomo». Il calcio c’è e ci sarà sempre, anche e soprattutto ora che Darko Damnjanovic è tornato a casa. 15 anni dall’ultima volta, sempre con la moglie Aleksandra a fianco e, adesso, i due bimbi. Ha mollato tutto per inseguire i suoi sogni. «Allenatore professionista», ce lo dice senza giri di parole, come è abituato a fare da sempre e come abbiamo avuto modo di conoscerlo in questi anni tra Ceva (come giocatore e poi allenatore) e Monregale (dove portò al titolo provinciale i ragazzi dell’allora Under 17).
Lo avevamo lasciato, qualche mese fa, con la sospensione dei campionati da allenatore a Ceva e ci aveva salutato con una promessa: «Tornerò nella “mia” Serbia». «La gente non ci crede ancora, mi stanno arrivando tantissimi messaggi carichi d’affetto. Anzi, in tanti non l’hanno preso sul serio», ci racconta ora per telefono. Cinque giorni prima è atterrato a Belgrado, quindi il test Covid e il “via libera”. «A Ceva sono nati i miei figli, ci hanno fatto commuovere le parole dei tanti amici che abbiamo lasciato. Voi piemontesi di indole siete più chiusi, riservati: è come se valessero doppio. I primi tempi ho fatto fatica ad adattarmi, poi anche lo sport e il calcio hanno aiutato: sono stati anni bellissimi».
Darko, ora quali sono i progetti?
«Come “secondo” lavoro guiderò un Academy individuale, privata e molto prestigiosa che lavora con i ragazzi che giocano nella nazionale. Come primo impiego sono in contatto con la Stella Rossa per un ruolo di mister nelle giovanili (l’Under 19). Un ritorno al cuore insomma per uno come me che è cresciuto in quella squadra e sono disposto anche a guadagnare meno pur di stare lì. Il sogno grande è aprire un Academy, tutta mia».
Insomma se ne saprà di più prossimamente: fra le altre ipotesi anche un ruolo in altre società della massima serie serba?
«Sì, ho tanti amici allenatori che fanno parte di questo mondo. Pochi mesi fa mi hanno chiamato dall’Estonia per andare a lavorare là. Ci ho pensato su, ma alla fine ho deciso che la cosa migliore era tornare a casa. Non c’è cosa più bella che lottare e inseguire gli obiettivi qui: sarà una nuova partenza e adesso punto a ottenere, dopo aver preso il B, anche il patentino Uefa A».
A pochi giorni dalla tua partenza per un grande ritorno in Serbia, con grande gioia ti abbiamo donato la nostra maglia...
Pubblicato da Massimo Ravera su Sabato 30 gennaio 2021
Dalla Serbia al Monregalese. Cosa è cambiato in questi 15 anni?
«In Serbia poco, nel senso che da noi spesso la parola “democrazia” è stata violentata. Il calcio era già un business quando giocavo io, facevi presto se eri bravo. Le nostre scuole (non solo Stella Rossa, ma anche Partizan e Dinamo) erano molto apprezzate all’estero. Erano gli anni durissimi della guerra. Io ne ho vissute tre, facevo sì il professionista ma non bastava. I soldi erano pochi e non arrivavano neanche tutti i mesi. In quegli anni avevo sempre le valigie piene, ho girato con il mio procuratore in tanti paesi. Poi un giorno gli hanno piazzato una bomba e lui è stato assassinato. Da lì ho trovato, a Ceva, una nuova casa». E una nuova promessa.
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