Nomadland l’America sconfitta
Gli ultimi Golden Globe hanno assegnato a Nomadland, e alla regista Chloe Zhao, rispettivamente i premi di miglior film drammatico e miglior regia. Riconoscimenti che seguitano a quelli delle giurie di tutto il mondo, inclusa Venezia 2020. La pellicola si focalizza sulle conseguenze della grande recessione negli Stati Uniti, raccontandoci le difficoltà di una fascia molto nutrita di persone, costrette a vivere con poco, e ad avere a volte per tetto un camper o un rifugio improvvisato. Anche la protagonista Fern è costretta ad una vita nomade: sola per la perdita del marito, senza più un lavoro e raggiunti i 60, può contare solo sul suo furgone, mezzo di trasporto ma anche casa, con cui intraprende un viaggio per l’America. Attraverso i suoi occhi di narratrice visiva, passano i paesaggi sconfinati e il racconto delle vite incontrate lungo il cammino: esistenze accomunate da un identico destino di difficoltà ma anche di dignità. Il film è figlio del libro dì inchiesta della giornalista Jessica Bruder, che la regista riadatta con l’intento di offrire una storia “on the road”, decisa attraverso il racconto dei percorsi di vita degli ultimi, a fornirci un quadro d’insieme dello spaccato dell’America contemporanea. Lontana dagli eventi eclatanti e dai personaggi influenti, e persino distante dai problemi delle grosse comunità: ma che nel silenzio è capace di leggere, in maniera lucida, un frammento di storia che mostra ancora i suoi effetti.
L’America per la prima volta esce realmente sconfitta, o, meglio, per la prima volta ci viene presentata così al cinema. Uscita trionfante dai conflitti mondiali vinti, e moralmente caduta in piedi persino in quelli persi, condannatasi per le proprie azioni ma difesa per il suo credo. Gli States si inginocchiano alla resa del proprio caposaldo: il benessere economico. Mostrando tutte le fragilità di un modello finora raramente messo in discussione. Possiamo riscontrare nelle diverse opere americane a tema “Grande recessione” diverse analogie con il Neorealismo del nostro cinema. Oltre alla curiosa corrispondenza che vede Nomadland utilizzare per la maggior parte attori non professionisti (seguendo le orme di De Sica & Co) colpisce la volontà di rappresentare la gravità del momento attraverso piccole storie, usando persone comuni e una quotidianità tangibile, capace di rendere immediata e comprensibile la portata del momento di difficoltà.