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lunedì 09 Dicembre 2024     Accedi

I fiori del male: i 200 anni dalla nascita di Baudelaire


Marika Mangini

È una foresta di simboli, il mondo di Baudelaire, e solo il poeta ha la chiave per districarvisi e leggere i significati nascosti dietro le cose. E’ un dono, una raffinata sensibilità che lo rende capace di cogliere le Corrispondenze in una natura che parla attraverso i sensi, mescolando profumi, voci e colori. Se la parola chiave della poesia romantica era stata “spirito”, quell’essenza che pervade la natura rendendola essere vivente, nella poesia simbolista la parola chiave è “sensazione”. Non è un libro aperto il mondo, L’homme y passe à travers des forêts de symboles che i comuni mortali non sono in grado di capire e sentire. Solo il poeta è l’eletto che vede oltre la realtà oggettiva, avverte le voci che mormorano tra le foglie degli alberi, si lascia toccare dal messaggio che il vento gli porta sulla pelle, respira l’odore di fiori il cui profumo cresce fino alla nausea; di questo mondo tocca la fragile consistenza, assaggiando il sapore agrodolce di una vita sospesa tra bellezza e decadenza. Ed è proprio qui il senso del titolo spiazzante e antitetico della raccolta di Beaudelaire, che canta la bellezza di un fiore destinato a sfiorire nell’odore marcescente dei petali che cadono insieme alla bellezza dei lati più torbidi del vivere umano da cui sfocia un’inaspettata poesia. La sua natura elitaria non permette al poeta di vivere in armonia nel mondo reale. Il suo essere si manifesta in una dimensione superiore che ha la spinta di una Elevazione, una fuga dai miasmi putridi di una realtà insignificante verso uno spazio in cui è possibile spiegare le immense ali e sorvolare i confini terreni. È come un Albatros il poeta, exilé sur le sol au milieu des huées, ses ailes de géant l’empêchent de marcher: immenso e sublime quando è in volo, ma goffo e impacciato quando, chiuse le ali, è costretto a muoversi sulla terra, tra gli scherni che lo rendono genio incompreso. E’ proprio la realtà insignificante in cui l’uomo è costretto, che produce quel male di vivere che Baudelaire chiama Spleen; parola di origine greca entrata nella lingua inglese, lo spleen è quello stato di oppressione esistenziale a cui il poeta di metà Ottocento non riesce a sottrarsi. È lo stato d’animo che si prova quando le ciel bas et lourd pèse comme un couvercle sur l’esprit: una cappa di angoscia schiaccia lo spirito come un coperchio plumbeo e l’Angoisse atroce, despotique, sur mon crâne incliné plante son drapeau noir: vince la battaglia l’angoscia, che celebra la sua vittoria con una simbolica bandiera nera posta sul capo del poeta. Nella ricerca di una verità che vada oltre il visibile, il poeta si perde in sensazioni contrastanti che oscillano tra il piacere e l’angoscia, sperimentano elevazione e abisso, perché la poesia è un dono e una maledizione al tempo stesso: conduce verso lati oscuri passando attraverso il piacere sensuale di una mano che accarezza il dorso di un gatto, le cui curve sinuose ricordano il corpo femminile e il suo dangereux parfum. Tra ossimori e sinestesie, la poesia di Baudelaire celebra una generazione di simbolismo decadente che si ritroverà nei versi dei poeti maledetti da Rimbaud a Mallarmé.


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