«Muoviamo, nella nostra riflessione pasquale, dalla figura delle tre donne che vanno al sepolcro – ha detto nell’omelia pasquale il vescovo mons. Egidio Miragoli -. Nella tradizione occidentale sono denominate “le tre Marie”, mentre nella tradizione orientale sono chiamate “le mirofore”, ovvero le portatrici di mirra, la sostanza che, con altri aromi, serviva per ungere il corpo dei defunti. Erano le donne venute con Gesù dalla Galilea, e che, a differenza dei discepoli, non erano fuggite, ma erano rimaste sotto la croce. Non c’è piena concordanza tra gli evangelisti circa il loro nome; il vangelo di Luca così le chiama: Maria, nativa di Magdala, Giovanna, e Maria Madre di Giacomo. Il loro andare è ovviamente motivato dal legame, dall’affetto verso Gesù. É il primo giorno della settimana, ovvero il giorno dopo il sabato; “di buon mattino”, annota l’evangelista. Possiamo immaginare, senza rischio di sbagliare, il loro stato d’animo, l’inquietudine della notte insonne e il loro dolore. Avevano dovuto attendere un intero giorno, prima di poter tornare alla tomba. Ed ora, eccole in cammino, con passo veloce, al sorgere del sole».
Un cammino senza speranza
«Queste donne si stanno recando a compiere riti di morte, portando degli aromi, per onorare con i gesti della pietà tradizionale il Maestro che avevano tanto amato – ha aggiunto mons. Miragoli –. La deposizione dalla croce e la sepoltura di Gesù erano avvenute in fretta in quel pomeriggio di venerdì. Con il tramonto, iniziava infatti il riposo del sabato, un giorno particolarmente solenne, poi, quel sabato della Pasqua annuale. Esse sono rassegnate alla morte di Gesù, hanno inteso, malinteso, che la storia del loro discepolato è giunta alla fine. Come i discepoli di Emmaus, non hanno capito quando il Signore parlava di crocifissione e risurrezione il terzo giorno, e credono che lo troveranno immobile, freddo, nel sepolcro. Non possiamo biasimarle, essendo la risurrezione dei morti un'esperienza totalmente estranea alla vita umana. Ma non solo non possiamo biasimarle, credo che addirittura possiamo sentirle molto vicine, o sentire noi stessi esattamente come loro. Perché anche noi ogni giorno, e magari anche il giorno di Pasqua, in fondo, ci apprestiamo mestamente e con rassegnazione ai nostri riti di morte».
Anche noi come loro
«Naturalmente, intendo "riti di morte” in senso metaforico; “riti di morte” come l’accettazione e la riproposizione identica dei nostri limiti, delle nostre fragilità, delle nostre situazioni opache, che si sono cristallizzate nel tempo e cui non sappiamo più come sottrarci, magari perché comportano il coinvolgimento di altre persone, magari perché hanno a loro volta favorito lo sclerotizzarsi di situazioni, abitudini, condizioni – ha proseguito il vescovo –. È tutta morte il male che ammettiamo dentro la nostra vita senza saperlo rimuovere, senza saperlo combattere, assuefacendoci alla sua presenza. Si potrebbero fare mille esempi: i rancori, le rivalità, le piccole vendette, i meccanismi di sopraffazione dentro le famiglie o di tradimento fuori dalle famiglie… E poi ci sono i grandi scenari, dove pure sperimentiamo e accettiamo la morte senza nemmeno fare il poco che potremmo nel nostro piccolo. Penso alla mancanza di impegno civico, al silenzio di fronte alle tragedie che la storia in questi anni e in questi giorni non ci sta affatto risparmiando, fra guerre crudeli davanti alle quali abbiamo chiuso gli occhi e altre guerre sulle quali li abbiamo spalancati. Tutte morti con cui arriviamo alla Pasqua, pensando che nulla cambierà. Proprio come le donne che vanno al sepolcro pensando che dovranno gestire la morte di Gesù come la morte di chiunque altro».
La sorpresa della pietra rimossa
«Ma la Pasqua è la festa delle pietre rimosse, della pietra rimossa del sepolcro. Le donne arrivano e non trovano Gesù, e prima ancora di non trovare Gesù trovano la pietra “rotolata via dal sepolcro” – ha continuato il vescovo –. Doveva trattarsi di una grossa e pesante macina da mulino, che veniva fatta rotolare davanti all’ingresso del sepolcro. Per questo erano preoccupate le donne lungo la via, e si dicevano: “Chi ci rotolerà via il masso dall’ingresso?”. Invece la pietra è già stata spostata. In realtà è rotolata via da sola, con la forza di Dio e senza collaborazione umana, perché doveva essere un segno per noi. Gesù non c'è più e due angeli spiegano che Gesù non va cercato tra i morti: a Pasqua la morte viene sconfitta. Non dalle donne, però. Esattamente come non potremmo sconfiggerla noi, che, come loro, la diamo per scontata, per risaputa dentro le nostre vite e dentro i nostri giorni. Abbiamo le pietre sul cuore, pietre che ci tengono lontano dalla gioia, dall’autenticità e della verità di noi stessi. Ma siamo impotenti».
Pasqua, festa delle pietre rimosse
«La mattina di Pasqua ci insegna chi può rimuovere la pietra, chi può trasformare la morte in vita, chi può fare di tre donne rassegnate alla tristezza delle annunciatrici di vita nuova, le prime testimoni della risurrezione – ha concluso il vescovo –. La pietra non la rimuovono le donne e la morte non la sconfiggono le donne, come non possiamo rimuovere e sconfiggere nulla neppure noi. Chi compie il prodigio è Dio, è il Figlio che ha attraversato la morte, ma per uscirne trionfatore. Così, anche noi usciremo dal nostro sopravvivere, dal nostro trascinarci dentro i nostri consueti difetti e le nostre situazioni di peccato solo se lasceremo fare a Dio, ritrovandolo e riammettendolo nel profondo del nostro cuore, là dove si prendono le decisioni più importanti, là dove talora si programma il futuro, là dove si decidono le svolte grandi dell’esistenza e la sua minuta quotidianità. Pasqua, festa delle pietre rimosse, è allora festa della conversione intesa come il nostro confidare nella potenza di Dio. Non facciamo Pasqua, non “risorgeremo” se non guardiamo al Dio della risurrezione mettendo nelle sue mani le povertà della nostra vita, le situazioni che ci impigliano, i limiti che fanno di noi persone meno belle di quelle che potremmo essere. Mi piace concludere e riassumere la riflessione proposta con le parole di papa Francesco: “Ecco l’annuncio di Pasqua che vorrei consegnarvi: è possibile ricominciare sempre, perché sempre c’è una vita nuova che Dio è capace di far ripartire in noi al di là di tutti i nostri fallimenti. Anche dalle macerie del nostro cuore, Dio può costruire un’opera d’arte, anche dai frammenti rovinosi della nostra umanità Dio prepara una storia nuova. Egli ci precede sempre: nella croce della sofferenza, della desolazione e della morte, così come nella gloria di una vita che risorge, di una storia che cambia, di una speranza che rinasce”. Per questo il cristiano canta l’Alleluia, canto di liberazione di ringraziamento al Signore. Cantiamolo oggi, contemplando la risurrezione di Gesù Cristo; cantiamolo sempre, perché ogni giorno il Signore compie meraviglie, ogni giorno lui può farci nuovi».