Ucciso a Fortaleza, la Procura brasiliana: «Il datore di lavoro fu il mandante»
«Il Dipartimento di Giustizia ha ricevuto una denuncia dal Pubblico Ministero dello Stato di Ceará, in Brasile, contro un italiano e due brasiliani coinvolti nell’omicidio di un turista albanese, a Caucaia». Si apre così il comunicato stampa rilasciato dal “Ministerìo Pùblico do Estado do Cearà” lo scorso venerdì 22 aprile e getta una luce diversa su un caso tristemente noto, quello dell’uccisione del 28enne Alban Gropcaj, cittadino di origine albanese residente a Vicoforte, avvenuta in Brasile nella tarda serata di lunedì 18 febbraio 2019.
A distanza di oltre tre anni, le autorità brasiliane rendono noti i risultati del loro lavoro di indagine. E l’accusa viene mossa addirittura anche nei confronti dell’imprenditore di Monastero Vasco Guido Bertola (datore di lavoro della vittima e molto legato al 28enne), che era in compagnia di Gropcaj proprio la sera della tragedia. I due vennero avvicinati da alcuni sconosciuti a bordo di una moto, che poi spararono i colpi di pistola fatali contro il giovane. Gli inquirenti parlano ora di un omicidio su commissione.
Emerge come – si legge nel testo brasiliano – «l’albanese sia stato assassinato dall’imputato R.L.L. (brasiliano) e da un altro soggetto non identificato», «per volere» di due persone: la brasiliana S.H.S.R e lo stesso imprenditore monregalese. Sempre secondo la denuncia, «l’italiano avrebbe voluto la morte dell’albanese per interessi finanziari», «aveva paura che i suoi affari venissero rovinati». La brasiliana S.H.S.R, invece, citando le fonti governative locali, «riteneva che la vittima fosse un ostacolo nel suo rapporto con l'italiano».
IL PM: «HA ASPETTATO IN AUTO»
Quella sera, tra le 22,30 e le 23, Bertola e Gropcaj stavano tornando da un ristorante da Fortaleza verso la casa dell'italiano a Caucaia, sobborgo di Fortaleza, quando vennero avvicinati da due individui in moto. Hanno intercettato l'auto su cui i due stavano viaggiando, allontanato l'albanese dal veicolo per poi ucciderlo con tre colpi di pistola, due alla testa e uno alla spalla. L’ipotesi principale portava a una rapina finita nel sangue. Ma la procura brasiliana ha una versione differente: «Non è stato rubato nulla e la vittima non avuto alcuna possibilità di fuggire o difendersi. Non si è udita alcuna frenata da parte dell’auto guidata dall’italiano al momento dell’arrivo degli assassini: il mezzo era parcheggiato». Conclude il pm Jairo Pequeno Neto: «Sembra che quella cena sia stata un mero pretesto per portare fuori di casa l'albanese e dare così l'opportunità di ucciderlo in strada, in un luogo poco trafficato, simulando una rapina senza successo. L'imputato ha attirato la vittima a Caucaia, credendo nell'impunità della giustizia brasiliana».
«NESSUN ATTO FORMALE», DICE L’AVVOCATO IN ITALIA
La denuncia del pm, secondo il complesso sistema giudiziario del Brasile che è strutturato a livello strettamente federale, è stata presentata lo scorso 19 aprile. Ora il giudice federale dovrà valutare se ci sono gli estremi per un eventuale procedimento. «La notizia ci sorprende in quanto non è giunto a noi alcun atto formale», commenta l’avvocato Simone Bianchino, legale della famiglia Bertola, che ha seguito fin dalle prime battute la tragica vicenda. «Come sempre fatto, assicuriamo la massima disponibilità e collaborazione alle autorità brasiliane. Restiamo in attesa, allo stato attuale non abbiamo ricevuto, lo ripeto, alcun tipo di comunicazione. Non è possibile dunque alcun ulteriore commento». All’epoca dei fatti l’imprenditore monregalese, sotto shock, raccontò la dinamica della tragedia alla DHPP, la Delegazione di Polizia Civile di Fortaleza. Per lui scattò anche lo stato di fermo e trascorse un periodo in carcere, nonostante non fosse mai stata formalizzata alcun accusa. Del caso si occupò anche la Farnesina. “Albi” Gropcaj lavorava da ben 14 anni per la carpenteria metallica monregalese “Azzurro” ed era uno degli operai più affezionati. La sua salma venne poi trasferita direttamente in Albania, suo Paese d’origine.