Qualcuno ha scritto che gli Stati Uniti, essendo una nazione relativamente giovane, non hanno un’epica e hanno dovuto costruirsela sfruttando il mondo dello sport. Storicamente parlando hanno celebrato il periodo dell’espansione nella frontiera, con tutto un filone di film a sfondo storico che poi si sono imposti in tutto il mondo come un genere che anche in Italia ha sostanzialmente creato un sottogenere di successo e straordinaria dignità artistica, nelle declinazioni, ad esempio, date da Sergio Leone. Tutto questo ha creato un immaginario solido, in cui muoversi e da cui attingere. Se Bonelli ha portato avanti il filone “serio” con Tex, il belga Lucky Luke si orienta più sulla comicità cartoonesca. Benito Jacovitti sceglie di sfondare la porta e devastare il salotto del western: il suo Cocco Bill va oltre la parodia: è una vera e propria decostruzione del genere, un treno che deraglia da ogni binario e segue un percorso tutto suo, tant’è che pur essendo un fumetto, tecnicamente, dedicato ai più piccoli, spesso può risultare di difficile comprensibilità a qualche giovane lettore. Soprattutto l’ultimo periodo, quello del ‘Giornalino’ dei Paolini, è improntato al nonsense più folle, mettendo in scena un mondo west colorato e faunesco, con personaggi improbabili e oggettistica disseminata ovunque con accostamenti surreali, esempio tipico il “salame” che compare quasi in ogni tavola o i curiosi vermoni colorati che strisciano tra le gambe dei personaggi. Anche la lingua è oggetto di una continua deformazione («piomba in un saloon in un domenicale giovedì di mezzo sabato»), giocando sugli stereotipi del genere, a cominciare dai nomi dei personaggi: il fido cavallo “Trottalemme” e l’antiDulcinea del pistolero (amante del “uiscone” o del “cognaccone”? No della camomilla!) “Osusanna ailoviu”. È curioso che questo Cocco Bill così sperimentale compaia sulle pagine di una testata che ospitava altri fumetti con caratteristiche simili, dal “Pinky” di Mattioli al quasi metafisico “Max le tax” tassista in un deserto sostanzialmente privo di qualsivoglia riferimento riconoscibile. Più tradizionale il Cocco Bill che compare ne “Il giorno dei ragazzi” e nel “Corriere dei Piccoli”, indice di un percorso che l’autore molisano si è divertito a portare fino alle estreme conseguenze.