Il brutto incidente e la rinascita: «Il segreto è amarsi»
Le avevano detto che non avrebbe potuto più fare il suo lavoro. Colpa di quella brutta frattura al braccio, di un ginocchio e un femore quasi ridotti in briciole, delle vertebre rotte e delle costole incrinate. Un colpo durissimo per chi di professione fa la parrucchiera e di continuo è obbligato a usare le mani. «I medici mi avevano spiegato che per oltre un anno non avrei più ripreso l’uso delle gambe. Sulle prime chiedevo di tenere sempre le tapparelle chiuse, ero bloccata su quel letto d’ospedale e non volevo vedere il sole e quel mondo felice al di fuori che continuava ad andare avanti. Poi ho riflettuto, ho pensato “Sono viva”, e che avrei potuto realizzare un nuovo sogno: rimettermi in piedi e riprendere la vita in mano. Quando mi chiedono come ho fatto, rispondo che è stato l’amore, quello verso me stessa prima di tutto. Poi il resto vien da sé».
Jennifer Manassero, 35 anni di Carrù, ha due bimbi di 4 e 6 anni e gestisce il salone “Look & Style specialisti del bellessere". Di quel tremendo 5 luglio del 2020 si ricorda ovviamente ogni cosa. «Era una domenica mattina e con Mirko, il mio compagno, eravamo partiti in moto per un pic-nic sul lago di Serre-Ponçon in compagnia di amici. Una volta scollinato il confine ci siamo fermati in una panetteria francese per far scorta di baguette e “pain au chocolat”. Appena ripreso la marcia, un nostro amico ci avverte che si deve fermare perché non ha allacciato bene il casco. Noi rallentiamo e, a quel punto, vediamo una macchina venirci addosso. Ricordo i rumori, la mancanza di respiro, una valanga di gente e le eliche dell’elisoccorso…».
Il giorno dopo, quando Jenny si sveglia in un ospedale a Nizza ha piena consapevolezza di cosa è accaduto. «Mi sono agitata pensando a Mirko, che solo verso sera mi hanno detto che se la sarebbe cavata ed era ricoverato a Marsiglia. Avevo il mondo che mi crollava addosso, ma lo staff sanitario è stato fantastico. Specialmente nei primi tempi, quando ero senza telefono e nessuna possibilità di comunicare all’esterno». Dopo tre settimane il trasferimento a Mondovì: «Qui però, per le restrizioni Covid, non potevo ricevere le visite di nessuno. Mi sembrava di impazzire». Dopo un altro mese, può tornare finalmente a casa, anche se il via vai dagli ospedali e dalle sale chirurgiche continua.
Intanto Jennifer ha ripreso, con l’aiuto della stampella, a camminare e, soprattutto, lavorare. «Se ho portato avanti il sogno del salone è perché credevo in me. Ho scelto di condividere la mia storia per questo motivo. Perché penso possa essere utile a chi non si ama e “pretende” l’amore dagli altri. Avere un atteggiamento positivo è fondamentale, ti permette di fare cose che non avresti mai pensato di fare, di relativizzare ogni problema. E anche se perdi, tutti saranno orgogliosi di quanto ti sei impegnato nel crederci. Sono viva e mi sento grata di tutto ciò».