Risponde Elena Fenoglio, èquipe progetti Giovani area territoriale monregalese
Secondo voi, gli episodi “violenti” di cui si parla di recente a Mondovì possono essere considerati, in qualche misura, come uno dei sintomi di un disagio diffuso, un “vuoto da riempire” che riguarda le fasce giovanili?
Sicuramente è difficile un’interpretazione univoca, e sicuramente non ne esiste una esaustiva. Dal nostro punto di vista, da educatori e pedagogisti che lavorano a contatto diretto con i giovani ci sembra di percepire un segnale forte e chiaro che più che parlare di “vuoto” ci sembra richiedere presenza, quasi che dietro alcuni comportamenti ci sia l’urgenza di essere visti e di essere pensati da qualcuno, presi in ascolto prima che in carico.
Quali sono i disagi o le esigenze che emergono da chi intercetta i giovani nella loro quotidianità, nella città o nel territorio monregalese? Da dove si originano?
Anche a questa domanda non è facile rispondere con sicurezza ma ci permettiamo di affermare che, prima ancora di segnali di carattere più patologico, ci sia una diffusa sensazione di isolamento e solitudine dettata da ritmi troppo compulsivi in cui le agende dei ragazzi non trovano respiro, o per contro silenzi che paiono interminabili per chi non ha accesso alle opportunità che sempre più richiedono prestazione, costanza e assidua presenza. E chi non ce la fa? E chi salta un turno? E chi rimane indietro? Ecco che si perde o nel troppo chiasso o nel troppo silenzio, ma di fatto spesso rimane solo.
Quali sono i “modelli di riferimento” a cui oggi guardano queste fasce di età?
Riteniamo che i giovani siano molto attenti e accurati nelle scelte dei modelli, c’è un diffuso senso critico che porta i ragazzi a porsi domande e le risposte ricercate e quelle trovate in qualche modo puntano a soddisfare un bisogno di stare bene, stare meglio. In una cornice esistenziale dove abbiamo vissuto una pandemia, dove stiamo vivendo diversi conflitti bellici, in cui attraversiamo l’incertezza del futuro (da tempo si parla di eco-ansia) e dove il sistema famiglia è costantemente in crisi i giovani hanno bisogno di aggrapparsi a chi ce la fa, a chi emerge, a chi riesce a farsi sentire nel bene o nel male e spesso è più facile trovare modelli nelle fiction o nei social che nel mondo reale.
Che tipo di risposta mirano a dare i progetti di cui fate parte?
Le risposte che vogliamo provare a dare sono principalmente di due tipi: la prima a breve termine per offrire opportunità concrete, reali, accessibili e inclusive; la seconda tipologia invece guarda sulla lunga distanza e punta al consolidamento di un modello di lavoro sempre più integrato tra pubblico e privato, tra scuola ed extra-scuola, tra formale e informale in cui i giovani sono al centro non solo come beneficiari ma come protagonisti, portatori di idee e di istanze che vanno prima di tutto ascoltate e poi supportate nella crescita e sviluppo. Ci sono progetti che seminano per raccogliere in fretta, perché i giovani vivono il qui ed ora e ci sono progetti che preparano il terreno, lo curano e lo coltivano per raccogliere i frutti tra qualche generazione, entrambe le tipologie per noi sono fondamentali per attestare la presenza di un mondo adulto responsabile e consapevole che il futuro è nelle mani dei giovani.