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La dentista Cecilia Stea volontaria in un Ospedale in Kenya

Dallo studio dentistico a San Michele all’esperienza vissuta al Chaaria Mission Hospital, nella Contea di Meru
La dentista Cecilia Stea volontaria in un Ospedale in Kenya
La dentista Cecilia Stea volontaria in un Ospedale in Kenya

Debora Sattamino

La dentista Cecilia Stea volontaria in un Ospedale in Kenya. «Era un da un po’ che ci pensavo e, grazie al collega Andrea Moiraghi, veterano del Volontariato odontoiatrico in Africa sin dal 1993, quest’anno ho avuto la possibilità di concretizzare un sogno». Cecilia Stea, odontoiatra di Niella Tanaro, con studio da 30 anni a San Michele M.vì, nel mese di agosto ha effettuato una grande esperienza di volontariato in Kenya, prestando la sua opera gratuita come odontoiatra.
«Ad agosto – spiega – mi sono recata con Andrea nell’Ospedale missionario di Chaaria, sito nella Contea di Meru, area rurale povera del Kenya centrale, a 250 km dalla capitale Nairobi. Sorto esattamente 40 anni fa grazie all’Opera Cottolengo di Torino come dispensario (ambulatorio ), questa struttura si è successivamente ampliata fino a diventare il Chaaria Mission Hospital, dotato oggi di 140 posti letto, ma in caso di necessità arriva a ospitare molti più malati su brande provvisorie o persino due malati per letto. Il personale che qui lavora supera le cento unità, fra medici, paramedici e personale ausiliario. Effettua una media giornaliera di 200 visite ambulatoriali, mediche e chirurgiche, oltre una ventina di prestazioni odontoiatriche in un relativamente efficiente studio dentistico. Accanto all’Ospedale c’è un ordinato edificio per disabili gravi, con 70 posti letto dove alloggiano i cosiddetti “Buoni Figli”, amorevolmente accuditi dalle Suore Cottolenghine e da personale locale. Le ingenti spese del nosocomio sono coperte dall’Opera Cottolengo italiana».

La dentista Cecilia Stea volontaria in un Ospedale in Kenya

«Lo studio dentistico – continua Cecilia – è in grado di effettuare prestazioni di conservativa, endodonzia e piccola chirurgia orale, ma più della metà delle prestazioni sono di tipo estrattivo, perché richiedono meno tempo e un esborso economico minore da parte del paziente: 1 euro e 50 un’estrazione, circa il doppio un intervento di conservativa. Sono cifre irrisorie per noi, ma considerevoli per i locali, la maggior parte disoccupati o impegnati in lavoretti saltuari, i più fortunati in lavori senza qualifica, che garantiscono un salario di 40-50 euro al mese. In studio ho visto una ragazzina dolcissima, come tanti bambini e bambine da queste parti, chiedere l’estrazione di un incisivo centrale superiore cariato e dolente. Andrea ha risposto che non era il caso di estrarlo, era sufficiente una devitalizzazione e un’otturazione, ma lei voleva estrarlo perché non aveva i soldi sufficienti per pagare i circa 4 euro della prestazione. Inutile dire com’è finita, si poteva lasciare una ragazza priva di un incisivo tutta la vita? Eppure se non fosse stato per la nostra presenza oggi lei avrebbe un sorriso rovinato. Naturalmente ho fatto subito amicizia con le due signore che portano avanti lo studio dentistico, due donne fantastiche, di una complicità e bravura stupefacente. Mary, la dental officer (un’infermiera diplomata con un curriculum di studi che in Kenya le consente di operare come odontoiatra) e Eunice, una signora senza qualifica che però esegue anestesie, per alleggerire l’immenso lavoro della collega. Mary opera con una maestria e una velocità sbalorditive. Dopo un’estrazione, singola o plurima in una sola seduta, i pazienti non effettuano sciacqui, per lasciare subito il posto al paziente successivo. L’anamnesi non si effettua, porterebbe via del tempo. L’igiene a la sterilizzazione di studio non sono a livello dei nostri standard, ma incredibilmente tutto fila liscio e, fatta eccezione per qualche piccolo paziente, non ho mai sentito nessuno lamentarsi».
«Ho incontrato persone fantastiche – prosegue –, quasi sempre timide e riservate, persone poverissime, ma con la propria dignità e una pazienza inimmaginabile. Alcune mi hanno raccontato la loro vita, le loro storie, ho capito che nella vita si può fare ben di più di ciò che si fa. Queste persone vivono in una natura splendida e, in questo spicchio di Africa, anche molto fertile, ma i tanti che non possono acquistare cibo (essenzialmente frutta e verdura) o non hanno un pezzo di terra da coltivare, soffrono la fame. Sono stata fortunata a potermi confrontare con altri mondi. Vivendo a casa nostra corriamo il rischio di pensare che la nostra realtà sia quella giusta e scontata. E per concludere voglio ringraziare chi mi ha consentito di fare questa meravigliosa esperienza: Andrea, che dopo più di trent’anni questi posti li conosce più delle sue tasche e li descrive magnificamente nel suo libro; brother GianCarlo, che, fra le mille incombenze, ha anche quella di coordinare le attività dei volontari che si recano a lavorare a Chaaria; le Suore Cottolenghine dell’Ospedale, con cui mi sono intrattenuta in piacevoli conversazioni, che mi rimproveravano quando mi vedevano fumare, e le splendide Eunice e Mary con cui ho lavorato, che rimpiangerò per la loro simpatia, allegria, responsabilità e dedizione al lavoro. Penso che tornerò in questi luoghi e fra questa gente, non fosse altro che per poter accettare l’invito a cena di Eunice, che quest’anno ho dovuto rifiutare per mancanza di tempo».

Per chi volesse è possibile fare donazioni al Chaaria Mission Hospital chiamando il numero 3471520987.


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