Mondovì: La ripresa dell’anno pastorale nel segno del Giubileo
Una serata molto semplice, nel segno della preghiera dei Vespri e di uno spazio di adorazione eucaristica, con la parola del vescovo mons. Egidio Miragoli, in Cattedrale domenica… è stata l’occasione condivisa da tanti per l’apertura dell’anno pastorale che sarà connotato dalla significativa ricorrenza giubilare. Nutrita la presenza degli animatori dei gruppi giovanili, che in precedenza hanno avuto un pomeriggio di condivisione in vista della ripresa delle attività, nel segno di “Animati per animare”. Grazie a loro, la serata in cattedrale, ha potuto contare su un coro davvero di valore e coinvolgente tutta l’assemblea, per una preghiera più partecipata.
Ed il vescovo ha avuto subito parole di riconoscenza per i tanti presenti, in una giornata ecclesialmente impegnativa come la domenica, che hanno colto questo momento come prezioso in una prospettiva ecclesiale di comunione consapevole. L’intervento del vescovo è stato imperniato su tre punti qualificanti: innanzitutto l’opportunità di vivere il Giubileo nei suoi significati profondi e coinvolgenti, quindi il pellegrinaggio alle “Memorie degli apostoli” a Roma ed infine la prospettiva della speranza che connota l’appuntamento giubilare nelle intenzioni del Papa.
Il Giubileo che impegna, il pellegrinaggio alle “memorie” degli apostoli, nel segno della speranza
All’apertura dell’anno pastorale il vescovo, in cattedrale, disegna i percorsi che stanno davanti alle nostre comunità nel 2024-2025
Il valore simbolico di una serata
«Al termine di una giornata certamente impegnativa, per i sacerdoti ma non solo per loro, visto che le attività della domenica, nelle comunità, coinvolgono diverse persone, quindi anche molti laici; dunque, dopo ore non di riposo, ma di generosa donazione di sé, potreste domandarvi le ragioni di un incontro come questo, tutto sommato molto semplice: canti e salmi di un vespro, una riflessione, un po’ di adorazione silenziosa – ha detto il vescovo mons. Egidio Miragoli, domenica sera, in cattedrale, per l’apertura dell’anno pastorale –. Le distanze, nella nostra Diocesi, non sono irrilevanti: so che per molti si è trattato di scendere dalle valli per arrivare fin qui. Che abbiate compiuto un simile sforzo, mi lascia sperare che sia evidente e ben compreso, addirittura condiviso, il valore simbolico del nostro ritrovarci come comunità diocesana, del pregare insieme, del ripartire insieme: l’anno pastorale che inizia non è un fatto di singoli, del vescovo, di ciascun prete, di ciascun catechista, del tal fedele o del talaltro; è un fatto di tutti, che tutti coinvolge, che a tutti chiede di riprendere un discorso interrotto, un discorso che si fa insieme a tutti gli altri, perché ci sono alcuni valori che trovano il loro senso pieno solo nel fatto di essere condivisi. Grazie, dunque, per la vostra presenza e un saluto cordiale a tutti: sacerdoti, diaconi, consacrati, collaboratori parrocchiali e giovani».
- LA RICORRENZA DEL GIUBILEO CONNOTA IL NUOVO ANNO PASTORALE
«L’anno che ci sta davanti ha una sua connotazione obbligatoria, ha dei binari tracciati: il Giubileo indetto da papa Francesco. Sarà questa importante ricorrenza, sarà questa esperienza di Chiesa che segnerà i mesi a venire – ha proseguito il vescovo –. Vogliamo quindi, da subito, fermarci a riflettere e fissare qualche aspetto. Giubileo: si è soliti far risalire la realtà germinale del “Giubileo”, il grande anno sabbatico, al suono di un corno di montone (in ebraico “yòbel”) che ne annunciava l’inizio: l’eco proveniva da Gerusalemme, squarciava l’aria e balzava di villaggio in villaggio. Che cosa fosse concretamente il Giubileo in origine, poi, ce lo ha detto la pagina del Levitico (Lv 25, 1-2.8-17) che abbiamo ascoltata. Nella sua ricchezza linguistica e storica, essa consentirebbe un commento molto ampio. Non mancheranno occasioni nei prossimi mesi. Qui mi limito a segnalare due aspetti che non possono non suscitare almeno curiosità e il desiderio di una attualizzazione drammaticamente urgente. Con una premessa: noi possiamo domandarci se questa legislazione così esigente del Giubileo sia diventata davvero prassi. Difficile dirlo. In ogni caso queste prescrizioni sul Giubileo indicano la volontà di Dio sulla vita del suo popolo, e dichiarano quale sia l’ideale condizione di fedeltà e di santità dei credenti: “se i credenti vivono in questa logica giubilare, allora sono santi come Dio è santo!” (E. Bianchi). Tutto ciò vale anche oggi, per noi».
Il riposo della terra
«Il primo aspetto che intendo sottolineare è il tema del “riposo della terra”. Impensabile, oggi, in epoca di sfruttamento intensivo delle risorse. Anche allora, in una economia sostanzialmente agricola, e in tempi di povertà, doveva essere poco più che un richiamo ideale. Eppure, si tratta di un richiamo al limite che è insito nell’umano, di cui spesso tendiamo a dimenticarci. Far riposare la terra vuol dire non seminarla e non raccoglierne i frutti. Eppure, qualcosa essa riesce comunque a produrre. I suoi frutti saranno più poveri, ma non mancheranno. La Parola di Dio ricordava, così, ai figli di Israele che i cicli della natura non dipendono solo dal lavoro dell’uomo, ma anche dal suo Creatore. È la memoria di un altro primato, quello trascendente. Visto lo strapotere che riteniamo legittimo esercitare sull’ambiente e sul nostro stesso corpo, l’ammonimento non sarà superfluo neppure oggi. In fondo sono le tematiche proposte da papa Francesco nell’Enciclica “Laudato sii”. Già Giovanni Paolo II sottolineava che “i cristiani, in particolare, avvertono che i loro compiti all’interno del creato, i loro doveri nei confronti della natura e del Creatore sono parte della loro fede” (Giovanni Paolo II, Messaggio per la giornata Mondiale della Pace 1990) ».
La remissione dei debiti, la restituzione delle terre, la liberazione degli schiavi
«Il secondo tema è quello che deriva dal fatto che l’anno giubilare era l’anno non solo della remissione/condono dei debiti e la restituzione delle terre alienate o vendute, ma anche della liberazione degli schiavi. Con il Giubileo, ossia ogni mezzo secolo, si ricostituiva la mappa della “terra promessa” così come l’aveva voluta Dio. Di più: Israele tornava a essere il popolo dell’Esodo, il popolo libero dalla cappa di piombo della schiavitù e delle discriminazioni. Anche in questo caso, si trattava di una proposta ideale, destinata a creare per breve tempo, quasi simbolicamente, una comunità che non avesse più al suo interno legami di prevaricazione degli uni sugli altri, non avesse più ceppi ai piedi e potesse camminare unita verso una meta. Difficile non cogliere anche l’attualità di questo tema in un’epoca nella quale si registra un numero sterminato di forme di schiavitù: le tossicodipendenze, il traffico degli esseri umani, la prostituzione, lo sfruttamento minorile a livello lavorativo o sessuale; i popoli asserviti alle superpotenze che con i loro debiti e non sono assolutamente in grado di essere arbitri del proprio destino; l’attività di certe multinazionali che si trasforma in tirannide economica su alcune nazioni e società. Bello pensare che il risuonare del corno giubilare (l’avvio del Giubileo) sia uno squarcio potente, un grido di libertà che Dio e la Chiesa donano all’uomo, un grido, ci auguriamo, capace di arrivare al cuore di tutti. Inizia “un anno di grazia del Signore”, come legge Gesù nella sinagoga di Nazareth: che nessuno di noi, soprattutto, abbia a sprecarlo».
- IL PELLEGRINAGGIO ALLE “MEMORIE DEGLI APOSTOLI” (ad limina apostolorum)
«Venendo al modello di Giubileo impostosi a partire dal primo Giubileo del 1300 ad oggi, mi piace sottolineare come esso abbia al centro la visita alle cosiddette “memorie apostoliche”, cioè ai luoghi sacri di Roma, dove sono custoditi e venerati i sepolcri e le reliquie degli Apostoli Pietro e Paolo. La consuetudine di andare a Roma per pregare davanti ai sepolcri di Pietro e Paolo risale ai primi secoli dell’era cristiana. Il fatto che i due Apostoli (Pietro in primis) fossero venuti a Roma, lì avessero subito il martirio e fossero stati sepolti, che questa città fosse la sede del Successore di Pietro, tutto ciò aveva reso ben presto Roma un polo di attrazione per i pellegrini. Ebbene, la storia dei Giubilei permette di evincere come “l’elemento centrale del Giubileo” sia proprio il sostare sulla tomba dell’Apostolo; così si ottiene l’indulgenza, ossia la piena riconciliazione guadagnata da Cristo sulla Croce; è il successore di Pietro che dispensa dal tesoro della Chiesa, Gesù Cristo, le grazie necessarie per la salvezza; è dalla pietra fondamentale della Chiesa che viene l’invito al rinnovamento comunitario».
Sulla tomba degli Apostoli per divenire apostoli
«Queste “memorie apostoliche” hanno sempre suscitato nel popolo cristiano atti di fede e testimonianze di comunione ecclesiale, poiché presso di loro la Chiesa ritrova se stessa e il motivo della propria unità nel "fondamento" posto da Gesù Cristo: gli Apostoli. Mi piacerebbe che anche noi ci sentissimo chiamati alla memoria degli Apostoli, e a sentirci a nostra volta “apostoli”. Che il Giubileo fosse occasione per ritrovare il valore primigenio dell’essere apostoli, cioè mandati da Gesù nel mondo a diffondere i valori del Vangelo, la “Buona notizia”, a dare al mondo stesso il volto cristiano della fraternità, della pace e della giustizia.
- UN GIUBILEO CONNOTATO DALLA SPERANZA
«Da questo recupero dell’apostolicità della Chiesa e di ciascuno di noi, sarebbe bello che, secondo l’indicazione del Papa stesso, ritrovassimo anche il valore della virtù teologale della Speranza. “Possa il Giubileo essere per tutti occasione di rianimare la speranza”, recita in apertura la Bolla per il Giubileo del 2025, “Spes non confundit”. San Paolo parlava della “Speranza che non delude” (Rm 5,5) cioè della Speranza che offre la certezza dell’amore di Dio. Ebbene, questa Speranza è il messaggio centrale del prossimo Giubileo. E dovremmo anche noi tenerla nel profondo del nostro cuore. Muovo da una banale osservazione linguistica: “speranza” è il contrario di “disperazione”, e non ha nulla a che vedere con l’”illusione”, come vorrebbero alcuni filosofi, anche contemporanei. Almeno la Speranza cristiana, fondata sulla Buona notizia e sull’amore di Dio Padre, non è illusione vana. È, invece, come dicevo, antidoto alla disperazione. I tempi sono difficili. La guerra bussa e pulsa in più parti del mondo con il rischio di un’estensione globale che ai più sfugge; la cronaca racconta scempi quasi quotidiani anche nelle pieghe private delle famiglie, e peggio ancora, nelle esistenze giovanili. La nostra società occidentale, dopo aver licenziato Dio e rimosso i grandi paradigmi morali proposti dal Vangelo; dopo aver fatto spazio agli idoli del profitto e del consumo ed aver posto davanti a tutto la felicità individuale, offre quotidiane ragioni di disperazione. Ma è proprio su questo scenario che la virtù della Speranza diventa luce e salvezza, sguardo coraggioso e senso del nostro vivere. Dobbiamo tenerla accesa come la lampada del Vangelo che non può essere nascosta sotto il moggio, segnale dell’amore di Dio che ci sosterrà fino a tempi meno cupi, di rinascita e di recupero della fede. Lungo un cammino che anche quest’anno vogliamo compiere, continuare insieme».
Il comando della Speranza
«L’anno giubilare dovrà essere, dunque, un anno di Speranza. Credo che questo sia il desiderio di papa Francesco e che questo più di ogni altra cosa serva alla cristianità e al mondo. Ma la Speranza deve essere anche la nostra, di Chiesa locale che questa sera inizia un nuovo anno pastorale. Vorrei lo facessimo lasciandoci avvolgere dalla Speranza. Lo sappiamo tutti: è più facile avvertire i segni di difficoltà che non i segni che autorizzano fiducia. Vale sui grandi scenari della storia come per ciascuno di noi. Perché anche noi, le nostre famiglie, le nostre comunità, siamo gravati da fatiche che oscurano l’orizzonte, dentro lo smarrimento dei tempi. Ma questa sera siamo qui a ripeterci che in Dio Padre, nel Figlio e nello Spirito Santo i nostri cuori ripongono la loro Speranza, ostinatamente, convintamente, profondamente. Ha scritto bene un teologo della chiesa evangelica: “Ciò che personalmente io ho imparato dall’esperienza fatta con la speranza, è che la speranza è più di un sentimento, più di un’esperienza. La speranza è anche più di una previsione. La speranza è un comando. E seguirlo significa vivere, sopravvivere, perseverare, mantenersi in vita finché la morte non sia inghiottita nella vittoria. Obbedire a tale comando significa: non essere mai rassegnati, né concedere mai rabbiosamente spazio alla distruzione. Crisostomo, padre della Chiesa, diceva: «Ciò che ci porta alla sventura non sono tanto i nostri peccati, quanto la disperazione»” (Jurgen Moltmann)».
Diventare seminatori di speranza
«Torna l’idea della Speranza come anti-disperazione. Portiamola via con noi, questa sera, e aiutiamoci vicendevolmente ad averla sempre presente. Aiutiamoci a sperare e a dare un senso al nostro anno pastorale di Cristiani decisi a non piegarsi e a non smarrirsi nella difficoltà dei tempi. Ai giovani, più semplicemente dico, con le parole di papa Francesco: provate a condividere ogni giorno una parola di speranza. Diventate seminatori di speranza nella vita dei vostri amici e di tutti quelli che ci circondano (Messaggio per la GMG 2023). Buon cammino a tutti».