INTERVISTA. Il compositore Nicola Campogrande, racconta il #Folon… e le sue origini monregalesi
Nicola Campogrande: «#Folon parla di noi e del nostro rapporto con l’arte»
Autore dell’opera è il torinese Nicola Campogrande, compositore tra i più significativi del panorama musicale contemporaneo. Ha all’attivo un catalogo con più di 200 titoli. Molte Orchestre ed Enti musicali propongono regolarmente i suoi brani nelle loro stagioni sinfoniche (ad esempio nel 2022 la Filarmonica della Scala di Milano diretta da Riccardo Chailly ha eseguito il brano “Decisamente Allegro” che l’anno prossimo sarà suonato a Washington dalla National Symphony Orchestra). Campogrande è anche direttore artistico (dal 2016 al 2023 ha diretto Mito Settembre Musica e per 11 anni l’Orchestra Filarmonica di Torino). Dal 2023 è compositore residente dell’Orchestra sinfonica di Milano e da quest’anno del teatro Comunale di Bologna. È inoltre autore di numerose pubblicazioni divulgative a tema musicale. Ha accettato di concederci una breve intervista circa la sua opera #Folon… e le sue radici monregalesi.
L’Academia porta in scena il suo #Folon: quali sono le caratteristiche del progetto?
«Al teatro “Alfieri” debutterà la prima esecuzione italiana di quest’opera, nata su commissione dell’ Opéra Royal de Wallonie-Liège. È stato un processo curioso, visto che il libretto era stato scritto in italiano da Piero Bodrato (con cui collaboro abitualmente), ed è stato tradotto in francese. Su questo testo io ho poi scritto la musica. L’Academia si è innamorata di questa partitura, proponendomi di realizzarne una versione italiana, per cui ho adattato le linee vocali, limando o aggiungendo qualche nota per compensare le differenze».
Come è nata l’idea di raccontare questa storia
«L’idea di indirizzarci sulla figura del pittore e grafico Jean Michel Folon è stata nostra, così come l’approccio che abbiamo scelto per raccontare questa storia, con una classe che va in visita a una sua mostra e rimane coinvolta da un curioso incantesimo;. e abbiamo poi incontrato l’adesione entusiasta della Fondazione Folon. La trama del libretto è nata insieme a Bodrato, che è partito dallo spunto del gesto di un selfie, in questo caso scattato davanti a un quadro. Tra i temi di quest’opera, c’è infatti la riflessione sul rapporto tra il pubblico e l’arte, ma c’è ancche quello della difficoltà di molte persone di fruire dell’esperienza artistica perché troppo presi dal racconto di sé stesse con i selfie, con l’utilizzo dei social, in una forte dipendenza dallo smartphone. In questo senso #Folon parla del presente e porta il pubblico a riflettere sul mondo di oggi, attraverso le suggestioni del linguaggio musicale».
Credo che possa vantare il primato nell’uso dell’hashtag nel titolo di un’opera…
«Non so se sono stato il primo; credo però che sia un elemento significativo, considerato che volevamo dare vita a un lavoro teatrale fortemente legato al presente».
Che tipo di scrittura musicale ha adottato in #Folon? Quali sono gli stili e gli ingredienti musicali che vi si possono riconoscere?
«Mettiamola così: in passato, dopo le avanguardie e il loro movimento di rottura, c’è stato un arroccamento di molti compositori in un linguaggio elitario, che ha causato un allontanamento del grande pubblico. Molti compositori di oggi stanno dicendo: è il momento di andare oltre e cercare qualcosa di nuovo, un linguaggio che possa essere comunicativo e allo stesso tempo moderno, che rispecchi il mondo in cui viviamo. Sono inevitabilmente influenzato da tutto quello che ascolto e dal mondo musicale di oggi e quindi anche nelle mie partiture si possono trovare influenze del jazz, del pop, del rock e di tutti i linguaggi che fanno parte del panorama di oggi».
#Folon ha anche la caratteristica di richiedere, in alcune realizzazioni, il coinvolgimento attivo nel pubblico, è un tratto che ha anche usato in passato
«Sì è vero, quando ho scritto il mio “Concerto per pubblico e orchestra”: mi sembra un eccellente modo per vivere l’esperienza del concerto, un “Fare insieme” che arricchisce tutti. A Mondovì l’allestimento dell’opera prevede una rappresentazione standard, per la quale non è necessario che il pubblico canti; ma durante alcune rappresentazioni di #Folon in Belgio c’erano centinaia di bambini che, dopo essere stati preparati in classe da alcuni formatori, partecipavano, in teatro, cantando brani dell’opera».
È un elemento che forse contribuisce un po’ ad abbattere quell’”aura sacrale” che contraddistingue il palcoscenico e che tiene lontani molti ascoltatori…
«Devo dire però che l’”aura sacrale” di cui parla non mi dispiace per niente. L’esperienza del concerto passa anche da una divisione di ruoli, tra esecutori e pubblico. Quello che si vive in sala da concerto è un momento unico. Non si entra in auditorium come si entra in enoteca, insomma: ascoltare Ravel, una sinfonia di Beethoven, magari con una persona cara, è un’esperienza di particolare intensità che comunque lascia sempre qualcosa. I compositori cercano di accendere delle scintille, di far succedere qualche cosa sul palcoscenico; il pubblico deve essere ricettivo e aperto, e il risultato di questo scambio, che sia riuscito o meno, consente sempre di vivere un’esperienza particolare che non si trova altrove e questo è assolutamente un arricchimento da conservare».
Al di là dei luoghi comuni sulla musica pop di oggi (e premesso che nel pop si trova un po’ di tutto) da compositore come giudica il fatto che nei brani oggi in classifica ci sia sempre meno linguaggio musicale?
«Credo che questo sia un riflesso dell’estrema democratizzazione del processo: oggi tutti possono fare musica. Se io e lei decidiamo di pubblicare un album su Spotify grazie agli strumenti AI a disposizione tra quindici minuti è online. Di “nostro” però in quei brani ci sarà ben poco. Comporre, suonare ed eseguire musica è un processo estremamente complesso: oggi ci sono gli strumenti per semplificarlo, a prezzo di aumentare il grado di automatismo nella sua produzione e quindi diminuire il fattore umano. Credo però che questa sia una fase e come tale passerà. Io ho tre figli e sono immerso anche nel loro mondo e avverto in molti casi una buon dose di noia per quello che viene continuamente proposto. L’importante è tenere le orecchie sempre bene aperte, essere ricettivi, in modo da saper cogliere le differenze».
Lei ha legami con il nostro territorio?
«Certamente e molto forti: Mondovì era la città d’origine dei miei nonni, Cappa e Campogrande. Mio nonno è stato dentista lì per tutta la sua vita, la maggior parte dei miei parenti è tutt’ora a Mondovì».
https://www.unionemonregalese.it/2024/10/09/mondovi-domenica-al-baretti-lopera-folon-dellacademia-montis-regalis/