Prof. monregalese negli USA: «Trump ha vinto sfruttando le paure, ma i Democratici si comportano come un’élite»
Cominciamo dai fatti, dai risultati inequivocabili, per quanto a me, elettore del Partito Democratico e sostenitore di Kamala Harris, questi possano far dispiacere. Ero fiducioso che Kamala Harris avrebbe non solo vinto, ma addirittura stravinto, e questo in barba ai sondaggi che davano un "testa a testa", una sfida all'ultimo voto tra i due candidati. E invece è andata ben diversamente, proprio al contrario di quanto pensassi, o forse solo sperassi.
La vittoria di Trump è stata chiara e netta, "fair and square", come si dice qui. Al momento in cui scrivo Donald Trump si è già aggiudicato 295 collegi elettorali a fronte dei 270 necessari, mentre Kamala Harris ne ha solo 226. E sono ancora da assegnare i 6 collegi elettorali del Nevada e gli 11 dell'Arizona, Stati in cui Trump è in vantaggio. Inoltre, il voto popolare, vale a dire il numero totale dei voti espressi, dà circa 4.300.000 voti in più a Trump. E i Repubblicani si sono già aggiudicati la maggioranza in Senato e sono in vantaggio anche per il controllo della Camera (la "House of Representatives"). Lo scenario prevedibile è quello di avere a gennaio, oltre alla presidenza, anche entrambi i rami del Congresso saldamente in mani repubblicane. Le conseguenze sono ben poco allettanti per i sostenitori degli ideali avanzati dai Democratici in materia di diritti civili, ecologia, immigrazione, politica fiscale e via discorrendo.
Ma restiamo al presente, la sconfitta dei Democratici è clamorosa e sarebbe ingenuo e un po' ipocrita aggrapparsi all'idea di "brogli" o di ingerenze straniere (i russi o i cinesi) nel processo elettorale, oppure attribuire i risultati a manipolazioni telematiche e alle promesse di doni milionari da parte dei ricconi come Elon Musk. Il popolo americano si è espresso in modo chiarissimo e il mattino dopo sia gli elettori democratici che quelli repubblicani si sono svegliati e sono andati a lavorare come il giorno prima delle elezioni. Grazie al cielo, non ci sono state le paventate esplosioni di violenza. La democrazia americana probabilmente cambierà, e forse cambierà in peggio, ma non credo che diventerà una dittatura, come temono in tanti. Ora sta ai Democratici cercare di spiegarsi il perché di una sconfitta tanto netta.
Mi sembra ridicolo, eppure qualcuno lo fa, sostenere che gli elettori di Trump sono principalmente una massa di razzisti, omofobi, suprematisti bianchi, maschilisti, e chi più ne ha più ne metta. Ma queste etichette servono soprattutto a far sentire buoni quelli che le appiccicano indiscriminatamente agli altri, a quelli che non la pensano come loro. Certo, in questo Paese (come altrove) ci sono razzisti e ci sono molte persone frustrate e maleducate, ma soprattutto c'è tanta voglia di trovare dei colpevoli per le proprie sventure, per le proprie delusioni, o per i propri fallimenti.
Come altrove, ci sono ansie e paure crescenti dovute a un mondo che cambia rapidamente, che diventa più complesso e appare sempre meno sotto il nostro controllo. E queste ansie e queste paure sono sfruttate meglio dai politici senza scrupoli e dai gradassi come Donald Trump. A mio parere però, la causa principale della sonora sconfitta democratica è che gli Americani hanno da tempo perso l'ingenuità che a molti Europei piace ancora attribuire loro. Il "sogno americano", l'idea che chiunque, lavorando sodo, può farcela nella vita, avere successo e felicità è sempre meno credibile e meno alla portata di tutti. Esistono potenti élites, aristocrazie economiche e culturali, i Clinton, i Bush, e perché no, gli Obama. Ma le élites democratiche appaiono più ipocrite di quelle repubblicane. Non sono solo i maschi bianchi arrabbiati, i fanatici religiosi o i multimiliardari che hanno scelto Trump. C'è una folla crescente di lavoratori e lavoratrici di ogni età, colore ed etnia, persone più e meno istruite che da tempo hanno perso la fiducia in un partito identificato maggiormente (vero o falso che sia) con una classe politica per definizione corrotta, parassitaria ed elitaria. Per questi milioni di normalissimi Americani i nemici peggiori sono i privilegiati che possono permettersi di pagare centinaia di migliaia di dollari per andare all'università e poi umiliare altri concittadini con parole forbite chiamandoli "deplorevoli", come fece la Clinton, e soprattutto pretendendo di far politica a nome loro.
E non si devono dimenticare altri tre fattori che, io credo, hanno contribuito quest'anno in maniera determinante alla sconfitta dei Democratici. 1) I maggiorenti del partito hanno fatto di tutto per sminuire, o ignorare, il declino cognitivo di Biden, anche dopo l'imbarazzante dibattito elettorale con Trump. 2) Kamala Harris non è stata scelta democraticamente alle primarie, ma imposta all'ultimo momento dalla dirigenza politica del partito quando era ovvio che Biden non avrebbe mai potuto vincere contro Trump. 3) Le posizioni dell'amministrazione Biden-Harris nei confronti di quanto sta succedendo a Gaza hanno spinto diversi milioni di elettori democratici a disertare le urne.
Io continuo a pensare che Kamala Harris alla presidenza avrebbe fatto meglio e in modo più civile gli interessi di molti Americani che hanno invece votato per Donald Trump. Ma non posso, e nemmeno vorrei, impedire a quelle persone di credere in buona fede il contrario. Sarebbe molto antidemocratico, e assai poco americano.
prof. Antonello Borra, docente presso University of Vermont, School of World Languages and Cultures
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