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lunedì 13 Gennaio 2025     Accedi

Vino senz’alcol anche in Italia: nuova opportunità o “schiaffo” alla tradizione?

Un decreto del Governo consentirà di produrre il vino dealcolizzato nel nostro Paese. All’estero il mercato è in crescita, ma cosa ne pensano i produttori delle Langhe?

Mattia Clerico

Nuova opportunità commerciale o “forzatura” che va a snaturare un prodotto da sempre caratterizzato da peculiarità ben precise? Il dibattito è in corso, a più livelli, in tutta Europa ed ora è arrivato ufficialmente anche in Italia. Il nostro Governo infatti ha presentato nei giorni scorsi un decreto che consentirà anche nel nostro Paese di produrre vini senz’alcol e “low alcol”, cioè a bassa gradazione alcolica, mentre alcune bottiglie provenienti dall’estero (specialmente dalla Germania) sono già in vendita anche nei supermercati del Cuneese. La bozza, illustrata dal ministro all’agricoltura Francesco Lollobrigida, punta a tenere l’Italia al passo con il resto d’Europa dal punto di vista commerciale, anche su questa tematica. Il documento prevede la produzione in aree non “Doc” e la dicitura in etichetta di “vino dealcolizzato”: sarà vietato inoltre aumentare il tenore zuccherino del mosto e aggiungere acqua o aromi al prodotto. All’estero, il mercato del vino “no-alcol” è in forte crescita, ma qui da noi, tra le colline delle Langhe, “culla” di vini storici e tradizionali tra i più famosi e rinomati al mondo, cosa ne pensano i produttori? Abbiamo contattato alcuni nomi noti del mondo del vino di casa nostra. Ecco cosa ci hanno detto.

Cantina Clavesana: «Interessante sul piano della competitività internazionale, ma il nostro vino va protetto e preservato»
Alessio Chiavarino, direttore della Cantina Clavesana, analizza così il tema: «Bisogna separare l’opportunità commerciale dall’importanza che il vino ricopre dal punto di vista della tradizione e dell’espressione unica di ogni territorio italiano. Dal punto di vista della competitività a livello internazionale, credo che il vino dealcolizzato possa portare a sbocchi interessanti. Il trend del “no alcol”, specialmente tra i giovani, è in forte crescita, in particolare verso gli Stati Uniti. Questo decreto del Governo consente all’Italia di portarsi sullo stesso piano degli altri Paesi competitors europei, dal punto di vista commerciale. D’altro canto, il vino senz’alcol perde buona parte delle caratteristiche di profumo e di sapore. Il vino in Piemonte è un elemento fondamentale, dal punto di vista storico, culturale e anche economico e come tale va protetto e preservato. In questo senso, il fatto che non si possa utilizzare la “Doc” per il dealcolizzato è una garanzia a tutela dei nostri prodotti d’eccellenza riconosciuti in tutto il mondo».

Elena Gillardi: «Una nuova moda che non seguiremo. La fermentazione alcolica è imprescindibile»
Produttrice emergente di Farigliano, sulle colline di località Corsaletto, Elena Gillardi gestisce con entusiasmo e competenza l’omonima azienda di famiglia: «In vigna come in cantina, noi da sempre siamo tradizionalisti – spiega –. La scelta del Governo di andare in questa direzione ci ha sinceramente stupiti. Il vino, da sempre, è un prodotto che non può prescindere dalla fermentazione alcolica. Lo zucchero presente naturalmente nell’uva si tramuta in alcol. Quella del vino senz’alcol è una nuova moda, che non seguiremo. Tradizione e innovazione possono sicuramente coesistere. Le nuove tecniche servono a trarre spunti positivi per crescere, ma non si può scendere a compromessi, rinunciando ai nostri valori e alla nostra identità»

Federica Abbona: «Dopo il processo, del vino come lo intendiamo noi non resta nulla»
Federica Abbona gestisce con la sua famiglia l’azienda agricola “La Fusina”, sulla collina di Santa Lucia, a Dogliani: «Credo semplicemente che se uno vuole bere vino, beve vino. Se invece vuole bere analcolico, beve il succo d’uva, che è decisamente più genuino del vino senz’alcool – commenta –. Capisco però che diversi Paesi europei lo stiano commercializzando e magari per un’azienda che produce milioni di bottiglie può anche rappresentare una nuova opportunità commerciale, ma si tratta principalmente di marketing. Dopo il processo, del vino come lo abbiamo sempre inteso noi, non resta più nulla. Per curiosità ne ho comprata una bottiglia al supermercato e l’ho assaggiata con l’enologo che ci segue in cantina – aggiunge –. Nel bicchiere non si ritrova assolutamente il sentore di vino, i profumi tipici non esistono più, così come anche il gusto. È una bevanda gasata e leggermente dolce: sicuramente non è vino».

Nicola Chionetti: «Il “parzialmente dealcolato” potrebbe essere un’opportunità in più»
Titolare di una delle cantine storiche di Dogliani, Nicola Chionetti è da anni anche vicepresidente del Consorzio di tutela Barolo Barbaresco Alba Langhe e Dogliani. «L’alcol è una componente basilare del prodotto vino e svolge una funzione importante. Faccio fatica quindi a concepire un vino totalmente dealcolato – spiega –. Per quanto riguarda il decreto del Governo, dal punto di vista giuridico, bisognerà capire che cosa uscirà dal confronto in conferenza Stato-Regioni: un primo elemento importante riguarda sicuramente il divieto di utilizzare le “Doc” nella produzione. Il processo di estrazione dell’alcol rischia di snaturare, fino a cancellare, il rapporto esistente tra la bevanda, il vitigno dal quale proviene e il territorio. Detto questo, sul mercato esistono un’infinità di prodotti diversi. Altrove questa bevanda è già prodotta e viene consumata: non sono un esperto, ma mi pare esistano tendenze di crescita del settore. “Aprire” al dealcolato anche in Italia quindi, dal punto di vista commerciale, non è negativo, per quanto riguarda ovviamente tutta quella fetta di prodotto non tutelato da denominazione. Un conto comunque è abbassare il livello di alcol, un altro è invece eliminarlo totalmente. Nel caso di una bevanda a “zero alcol”, ammetto che mi sfugge il collegamento con il prodotto vino. I “parzialmente dealcolati” invece potrebbero aprire a qualche opportunità in più, sempre “fuori” dalle Doc, sicuramente. È noto che esista una fascia di consumatori che si approccia al vino in maniera molto prudente, la quale potrebbe apprezzare il prodotto, sempre che il risultato finale sia sano e di accettabile qualità. Magari, con il tempo, questa parte di consumatori potrebbe poi anche avvicinarsi ai vini veri e propri. Rimangono inoltre alcune questioni aperte: non è chiaro, ad esempio, cosa fare dell’alcol estratto. Sarà un rifiuto che i produttori dovranno smaltire o potrà invece essere venduto? Se sì, con quale fiscalità? Credo che le risposte precise vadano ancora trovate. Per quanto riguarda il comparto Langhe, non penso che questa novità possa avere un forte impatto, almeno nell’immediato, visto che la grande maggioranza delle bottiglie prodotte qui da noi stanno sotto il “tetto” delle denominazioni d’origine. È possibile invece che il decreto possa produrre effetti più immediati in altre parti d’Italia, dove nascono i bianchi e i rossi da tavola. La situazione è in continua evoluzione. Ad oggi, vedo questa strada percorribile dalla grande distribuzione, in riferimento a fasce di prezzo più “aggressive” sul mercato rispetto alle valutazioni dei vini delle Langhe».


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